Le Recensioni Quantiche: Perché Sanremo (non) è Sanremo
Reading Time: 4 minutesAutoreferenziali e sottomessi, perché un’altra delle cose che salta agli occhi in un confronto USA-Italia, è che anche in spettacoli della celebrazione dell’industria dell’intrattenimento, gli artisti americani godano sempre della loro autonomia espressiva, anzi direi che se la prendono perché le appartiene e sappiano poi unirsi compatti intorno a temi di grande rilevanza sociale, spendendosi in prima persona senza alcuna paura. Durante il Festival di Sanremo, al contrario, si è avuta l’ennesima rappresentazione – plastica nel senso più ampio del termine – di quella banalità “coperta e allineata” che ci serve per far passare la nottata in un periodo difficile, culminato con l’avvilente omaggio alle donne offerto dalla Hunziker.

… o forse sì. Piccola guida all’ennesimo peggior Festival di Saremo della storia.
Perché quando credi di aver toccato il fondo, è il momento che cominci a scavare [semi cit.]
[Parte Seconda]
“Nel 1964, ero una ragazzina seduta sul pavimento in linoleum a casa di mia madre nel Milwaukee che guardava Anne Bancroft che consegnava l’Oscar come miglior attore durante la trentaseiesima edizione dell’Academy Awards.
Aprì la busta e pronunciò sei parole che hanno letteralmente fatto la storia: “The winner is Sidney Poitier”
Ci eravamo lasciati così, con le parole di Oprah Winfrey durante la premiazione ai Golden Globes, ringraziamenti che si sono trasformati in un vero e proprio discorso di candidatura – alla Casa Bianca, nda – con la platea in piedi a tributarne l’investitura. Credo che in fondo, la differenza la si possa sottolineare proprio con l’atteggiamento: Oprah Winfrey sale sul palco a ritirare un premio e trasforma quel ricevere in un momento per dare, per restituire ad altri qualcosa, grazie alla sua credibilità perché se Oprah parla, tu la stai ad ascoltare in silenzio e al termine ti alzi in piedi per l’ovazione. In Italia oltre la banalità delle canzoni, c’è solo un fastidioso atteggiamento autoreferenziale di cui Sanremo è forse una delle massime espressioni
Autoreferenziali e sottomessi, perché un’altra delle cose che salta agli occhi in un confronto USA-Italia, è che anche in spettacoli della celebrazione dell’industria dell’intrattenimento, gli artisti americani godano sempre della loro autonomia espressiva, anzi direi che se la prendono perché le appartiene e sappiano poi unirsi compatti intorno a temi di grande rilevanza sociale, spendendosi in prima persona senza alcuna paura. Durante il Festival di Sanremo, al contrario, si è avuta l’ennesima rappresentazione – plastica nel senso più ampio del termine – di quella banalità “coperta e allineata” che ci serve per far passare la nottata in un periodo difficile, culminato con l’avvilente omaggio alle donne offerto dalla Hunziker.
Il confronto con Oprah Winfrey è improponibile, come sparare sulla Croce Rossa, un tentativo di trovare del buono nella rappresentazione da Mamma/Madonna della Hunziker non si può fare e non regge neppure di fronte ad un altro momento di spettacolo NaziPop quale il Grammy Awards 2018 che pure di cose da farsi perdonare ne avrebbe.
Anche in questo caso, come accaduto durante i Golden Globes dove tutti hanno indossato un abito nero a sostegno di #metoo, durante i Grammy Awards gli artisti chiamati a condurre lo show e i “nominati”, portavano una rosa bianca per sostenere la battaglia di “Time’s Up“, l’organizzazione nata a difesa delle vittime di molestie sessuali e per la parità di genere che va così ad affiancarsi alla già citata iniziativa #metoo. Il momento culminante, l’ingresso sul palco di Janelle Monàe per presentare l’esibizione pazzesca di Kesha, talmente carica di emozione da lasciarti senza parole, solo “Wow!”
e questo è quello che è successo dopo sul palco dei Grammy Awards 2018, forse un momento storico perché se negli anni ’80 gli artisti più in vista nel panorama pop di allora, si erano riuniti in USA for Africa o nella Band Aid, per intervenire e testimoniare la loro presenza ai temi forti di allora, così oggi ‘Praying‘ può diventare una nuova ‘We Are The World‘.
Emozioni e lacrime perché vere e vera solidarietà verso una collega. Kesha quelle violenze le ha subite e lotta da 5 anni contro il suo produttore per liberarsi dal quel cappio contrattuale che ancora la tiene imprigionata e che certamente ancora la condiziona nelle scelte; è salita sul palco attorniata dalle amiche che in questi anni l’hanno sostenuta, sono rimaste al suo fianco durante tutta la canzone senza mai prevaricarla, solo un coro mai un duetto e alla fine l’abbraccio e le lacrime. Poi e diciamolo questa è una cantante vera!
Ecco i cantanti, le canzoni a Sanremo ci sono state? Non pervenute, anche quest’anno il podio ha premiato una vuota banalità, il nulla con il niente intorno.
Non è riuscito neppure accogliere come si sarebbe dovuto, forse l’unica esibizione che ha mostrato un futuro, quella della canzone italiana che pure di cose buone, sia pur a fatica riesce a farne. Chi infatti si è accorto della bellissima modernità di “Adesso” il brano di Diodato e Roy Paci e che ha avuto il suo momento più importante con l’ingresso di Ghemon, futuro e la salvezza della musica italiana. È forse l’unica analogia che possiamo trovare con il Grammy Awards 2018 che non ha premiato Kesha con la sua ‘Praying’, preferendo il brano di Ed Sheeran che se non altro, nel suo genere, è una ottima canzone.
Un Festival quindi, non tutto da buttare e che è riuscito anche a regalarci un momento di emozione finalmente vera, senza “autoreferenzialità” ne verso se stesso e neppure tra i suoi co-protagonisti, perché credo che questo sia il problema più grosso del Festival che oltre all’enorme conflitto d’interesse messo in scena da Claudio Baglioni, non riesce a non smettere di guardare se non al proprio ombelico, senza mai aprirsi verso l’esterno, cominciando magari col ripensare alla sua stessa, vecchia formula.
A farmi fare pace col “mondo della riviera“, per fortuna ci ha pensato un altrettanto pazzesco Pierfrancesco Favino.
Grazie Pier, c’è luce in fondo a questo maledetto tunnel.
Edit: arrivano proprio oggi i dati ISTAT su “Le molestie e i ricatti sessuali sul lavoro” in Italia con stime che parlano di 8,8 milioni di donne e 3,1 milioni di donne che hanno subito o subiscono una qualche forma di ricatto sessuale sul lavoro. 12 milioni di persone, tante quante gli spettatori del Festival.