Dieci canzoni per me, per dimenticare (cinqueuno)
Dal cinque all’uno
Augurare buon anno ma anche solo dirlo, credo sia se non altro, “strano”. Perciò non lo farò.
Anche perché mi sembra che, rispetto a ieri, nulla sia cambiato: solito freddo, solita nebbia e comunque, poteva piovere.
Meglio allora procedere verso la chiusura di questa playlist con le dieci canzoni per me, per dimenticare perché in fondo, la musica è l’unica cosa che ancora ci fa stare bene.
Se vuoi recuperare i precedenti cinque, segui il link: Playlist di fine/inizio anno con il salvabile di un anno di merda (diecisei)
Numero Cinque: Bloc Party – Traps
Mancavano dal 2016 e qualche volta nel corso di questo tempo, avevo perso la speranza di risentirli non riuscendo a consolarmi appieno, con la presenza solista di Kele Okereke.
Traps è l’anticipazione del sesto album dei Bloc Party, “Alpha Games“, in arrivo per la fine di aprile. Singolo che è una botta pazzesca, soprattutto perché ci riporta ai “vecchi” Bloc Party ma senza farceli sentire bolliti; merito forse del rinnovamento della band capace di tenere viva quella miscela di suono che li ha resi grandi.
Kele Okereke interpreta Traps in maniera magistrale, come sempre, facendoci percepire immediatamente il pericolo che si respira su quella pista da ballo tra corpi sudati, rabbia e adrenalina alle stelle.
Traps è un brano “predatorio” pronto a cibarsi dello “spuntino” di turno, “tenero come Bambi”.
Numero Quattro: IDLES – Crawler
Gli IDLES hanno finalmente rotto gli argini ad un suono che ad alcuni era sembrato troppo chiuso su stesso. Con Crawler, Joe Talbot e compagni si divertono ad entrare e uscire dai quei confini dentro i quali eravamo soliti sentirli, fino a prima di “Ultra Mono“, almeno.
O forse sarebbe più corretto dire che siamo noi ad averli sempre voluti rinchiudere dentro quel recinto, nonostante Joe Talbot ci abbia rabbiosamente urlato in faccia che gli IDLES “non sono una fottuta punk band“.
Proprio con l’album precedente a Crawler, le cose hanno cominciato a cambiare in maniera significativa, grazie alla presenza del produttore rap Kenny Beats. Dapprima con la programmazione della batteria elettronica e poi intervenendo anche sui suoni, tanto da renderli così scarni ed essenziali da farci cogliere, anche in questo caso, la sensazione di una prossima, inevitabile apocalisse.
Insomma, ancora una volta, Don’t Look Up non sembra un film uscito a caso o della sola espressività folle di Adam McKay.
Di una cosa sono assolutamente certo: gli IDLES sono la band definitiva di questi decenni.
Numero Tre: Public Service Broadcasting – Bright Magic
Potrei dire che si era persa l’abitudine a questi album ma non direi la verità.
E se molti sono convinti che Spotify abbia portato gli artisti a ridurre al minimo la durata delle loro tracce per riuscire a guadagnare il più possibile anche solo da un veloce click – il che è anche vero ma solo dentro un certo ambito – c’è chi nel corso degli anni, forse perché giustamente fuori dalle logiche del mainstream, ha sempre messo al centro il valore della musica e della sua funzione espressiva.
Tra i tanti, perché tanti sono, certamente i migliori dell’anno sono Public Service Broadcasting con il nuovo, bellissimo, concept-album “Bright Magic“
C’è Berlino al centro del disco. Perché Berlino è la capitale musicale e culturale dell’Europa unita.
Ecco allora che Public Service Broadcasting – che pure non sono tedeschi – riescono a dar corpo ad un racconto dai tratti mitologico, sulla capitale di Germania. Riuscendo a metterci dentro tutto ciò che la rende così culturalmente importante.
Un capolavoro da tenere sempre carico e pronto a partire al play.
Numero Due: Arlo Parks – Collapsed In Sunbeams
Se siete anagraficamente dei vecchi boomer ma avete sempre coltivato quel sano spirito critico che le generazioni successive alla vostra non hanno conosciuto, allora siete in grado di comprendere la visione e l’enorme bellezza dell’album di Arlo Parks. In “Collapsed In Sunbeams” c’è tutta la complessità della Generazione Zeta compresa la confortante speranza che questa generazione saprà raggiungere quegli obiettivi falliti dai Millennials.
E chi ancora crede che “i giovani” ascoltino solo Trap da Spotify, non sa che questa convinzione è solo frutto della propria pigrizia nutrita dall’insipienza delle programmazioni delle radio commerciali; perché in Arlo Parks c’è Neo-Soul, R&B, Pop, Hip-Hop e Jazz. Ovvero, tutto quello che non conoscerete mai dalla Radio.
Perdendovi così anche tutta la bellezza della Generazione Zeta.
Arlo Parks nel 2021 ha vinto i BRITS e il Mercuzy Music Prize, un meritatissimo anno eccezionale.
Numero Uno: Little Simz – Sometimes I Might Be Introvert
Non serve dire nulla su Little Simz e su “Sometimes I Might Be Introvert“, l’album più grande del 2021.
Serve solo cuore e la volontà di lasciarsi travolgere per sentire come attraverso la musica, tutta la follia che sta attraversando il mondo, possa sparire in un attimo.