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Patti Smith
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Domani è Pasqua: era iniziata così la giornata di sabato. Sveglia un po’ più tardi del solito, anche se le proteste di Lulù si erano fatte sentire alla solita ora: pochi minuti dopo le sei. Colazione e poi, con il solito foglio di carta dove buttare giù un po’ di idee, nello studio tra libri, dischi pieni di canzoni e ricerche in rete.

Non era previsto nessun nuovo episodio de LNWSI per quella sera, vigilia di Pasqua ma forse per abitudine o solo per andare dietro ad un’idea, avevo cominciato ad ascoltarmi Patti Smith Group, proprio da quell’album che portava il titolo giusto per il giorno dopo: Easter.

Easter è il terzo dei quattro album pubblicati a nome Patti Smith Group, nel 1979 dopo Wave, la band viene sciolta e l’artista si prende un lunga pausa che si interromperà solo nel 1988 con l’album Dream of Life, il primo a suo nome.

Easter è anche l’album di Because The Night, scritta con Bruce Springsteen che risulterà essere l’unico hit da classifica per Patti Smith.

Wounded Knee Creek

Come è facile intuire dal titolo, Easter è un album “religioso“. Pieno di riferimenti cristiani e citazioni bibliche, contiene un paio di episodi che si discostano – ma neanche tanto – dal tema principale, offrendoci così, alcune letture laterali.

Una di queste è Ghost Dance, un brano che fa riferimento al movimento religioso dei nativi americani nato nella seconda metà dell’800 e del suo predicatore Wovoka della tribù dei Paiute.

La danza che nella tradizione dei nativi americani, era un modo per mettersi in contatto con i morti e combattere insieme l’espansione violenta dei bianchi, ebbe una grande diffusione tra i Lakota arrivando al suo apice col massacro di Wounded Knee Creek.

Il massacro arrivò dopo che Big Foot, a seguito dell’assassinio di Toro Seduto, abbandonò il suo accampamento con tutti i componenti della tribù, per cercare rifugio e protezione presso Nuvola Rossa. Il 28 dicembre 1890, furono intercettati da un reggimento del 7° Cavalleria, lo stesso del “Generale” Custer, annientato nella famosa battaglia del Little Big Horn del 1876, che li condusse sulle rive del torrente Wounded Knee, circondati per essere disarmati.

Coyote Nero è sordo

Il giorno dopo, durante le operazioni, Coyote Nero, un Lakota affetto da sordità, tardò nel deporre la sua arma, minacciato dalle “giacche blu”, partì accidentalmente un colpo che diede il via alla strage.

Le mitragliatrici dei soldati aprirono il fuoco sui 120 uomini e 230 donne e bambini della tribù, uccidendone 300.

Nel corso degli anni, i fatti di Wounded Knee torneranno in molte canzoni e libri. Ne hanno cantato Johnny Cash con Big Foot, Robbie Robertson in Ghost Dance, i Red Hot Chili Peppers con American Ghost Dance, Wounded Knee dei Primus, Prince con Avalanche e fin anche Ligabue e Giorgio Canali e Rossofuoco.

Le guerre indiane

Tutta la storia americana è accompagnata dal sangue delle guerre che ha combattuto, spesso anche adottando atti legislativi che “giustificavano” vere e proprie operazioni di pulizia etnica.

Se in America Centrale e del Sud, la “colonizzazione” fu portata avanti soprattutto da Spagna e Portogallo, in quelle terre che comunemente oggi chiamiamo Stati Uniti d’America, inglesi e francesi spinsero le popolazioni dei nativi americani dall’Est del continente verso Ovest, verso il Far West.

Dapprima gli scontri avvenivano tra coloni e nativi, dopo le Guerre di Secessione, scende in campo lo “Stato americano” con il suo esercito e i suoi generali.

Il Generale di vent’anni

In questo delirio nazista della razza, si misero in luce due generali: William Sherman e Philip Henry Sheridan.
C’era poi il colonello John Milton Chivington, il “generale di vent’anni” cantato nel “Fiume di Sand Creek” di Fabrizio De Andrè. Chivington diede l’ordine di massacrare un gruppo di Cheyenne e Arapaho, accampati su un’ansa del fiume Colorado, il Sand Creek appunto e da cui poi trasse ispirazione Ralph Nelson per il suo capolavoro “Soldato Blu“.

Fu proprio grazie al regista di Soldato Blu che la storia della epopea americana cominciò ad essere riscritta, restituendo un po’ di verità al popolo dei Nativi Americani.

Soldato Blu va alla guerra in Vietnam

Siamo sul finire degli anni ’60, gli USA combattevano in Vietnam, divisi in patria dalle proteste contro quella guerra assurda e le notizie di altre stragi messe in atto dall’esercito americano. Come quella del villaggio di My Lay dove, il 16 marzo 1968, il primo e secondo plotone della Compagnia C entrarono nel villaggio sparando e uccidendo chiunque tentasse la fuga. Violentando le donne, uccidendo il bestiame, distruggendo case e raccolto.

Il Tenente Calley, al comando del 1° Plotone si “distinse” per la feroce violenza che mise nell’operazione. Quasi 350 persone tra vecchi, donne e bambini furono massacrate dai soldati in quella giornata.

La notizia della strage raggiunse Ralh Nelson proprio sul finire delle riprese di Soldato Blu a dire come la follia sanguinaria di uomini che si credono superiori non era certo finita con le Guerre Indiane.

Ishi della perduta tribù degli Yahi

Tra la metà del 1800 e la fine dello stesso secolo, l’America era percorsa dalla febbre dell’oro. La California per prima poi il Canada e l’Alaska furono invase da persone d’ogni parte del mondo in cerca del metallo prezioso che potesse renderle ricche. Pochi vi riuscirono.
La corsa all’oro californiana durò relativamente poco, tra il 1848 e il 1855, ma non senza lasciare la sua mortale striscia di sangue.

All’inizio della corsa, un popolo di Nativi Americani della California Settentrionale, gli Yahi, viveva in pace in armonia con la natura da cui traevano tutto il loro sostentamento. Vivevano da sempre in una zona molta vasta della Sierra Nevada attraversata da fiumi da cui pescavano salmoni. Contavano in alcune tribù, circa 3000 persone.

I Quarantanove, killer in cerca dell’oro

La scoperta dell’oro portò in California decine di migliaia di “Quarantanove“, i cercatori d’oro, che non si facevano nessuno scrupolo ad attaccare ed uccidere i Nativi per impossessarsi delle loro terre e sfruttare i fiumi per la ricerca del metallo. Fino allo sterminio completo degli Yahi, a cui si aggiunsero malattie e fame.

Ishi fu l’ultimo ad arrendersi alla fame nel 1911, dopo aver vissuto l’intera sua vita nascosto all’uomo bianco che aveva sterminato il suo popolo e la sua famiglia.

A 49 anni venne trovato stremato nei pressi di Oroville e affidato a due ricercatori dell’Università di Berkely che ne studiarono la lingua e la cultura. Visse all’interno dell’Università per cinque anni ancora, dove morì di tubercolosi.

Il mio nome è Uomo

La storia di Ishi che era un nome datogli dai ricercatori e significava “Uomo” visto che lui diceva di non averne perché non c’era più nessuno che lo pronunciasse, è stata raccontata dalla moglie di uno dei due, Theodora Kroeber nella biografia “Ishi un uomo tra due mondi“, in teatro con “Ishi” del 2008, in un film del 1992The Last of His Tribe“. Poi naturalmente, in musica come con Mount Kimbie e King Krule in Blue Train Lines.
È la storia inventata dei due ricercatori, Waterman e Koebler anche se in verità, nella clip si racconta di quelli che dovrebbero essere i soli coniugi Kroebert, che litigano per la vendita dei beni che furono di Ishi.

Privilege (Set Me Free)

L’altra traccia “laterale” dell’album Easter di Patty Smith, è Privilege (Set Me Free). In realtà una cover, o quasi a cui Patti Smith aggiunge passi del Salmo 23, tratta dalla colonna sonora di un film del 1967: Privilege interpretato da Paul Jones, cantante dei Manfred Mann. Il film è diretto da quel genio di Peter Watkins.

Il film si presenta come fosse un documentario ambientato in una Inghilterra del futuro prossimo, dove Steven Shorter (Paul Jones) è la pop star insofferente del suo successo e adorato come se fosse un Dio dai suoi fan. Nel suo spettacolo appare dentro una gabbia, ammanettato e guardato a vista da agenti armati di manganello mentre lui urla “rendimi libero“.

Presto Shorter si trasforma in un predicatore al servizio dei due partiti del paese che coalizzati, cercano di avere il totale controllo delle masse distogliendole dalla politica. Anche la Chiesa si serve della pop star per i suoi scopi d’egemonia.

In un crescendo delirante, Shorter e la sua band appaiono ad un concerto vestiti e con atteggiamenti nazisti, ad un successivo evento che vorrebbe premiarlo, la star crolla e dichiara il suo totale disgusto per il pubblico che non riesce a vedere quello che in realtà è: solo una persona come tante.
La sua popolarità viene distrutta, i fan sono in rivolta, le sue canzoni e il suo show vengono banditi ovunque.

Il film si chiude con il ritorno alla normalità voluta dal potere, con lo speaker che annuncia: “It is going to be a happy time in England, this year in the future“.