Le Mappe del Tesoro Musicale: King Tubby e il Dub
Reading Time: 12 minutesNel 1968, in uno studio di Kingston, un errore tecnico rivoluzionò la musica inventando il dub. King Tubby trasformò questo incidente in una delle più importanti mappe del tesoro musicale, tracciando nuove rotte sonore che affondavano le radici nell’eredità culturale dei pirati dei Caraibi. Da Port Royal a Nassau, dalle società democratiche corsare ai Soundsystem giamaicani, scopri come il ‘Pensiero Pirata’ – l’arte di saccheggiare creativamente per innovare – abbia dato vita alla cultura del remix

Nel 2025, mentre l’intelligenza artificiale genera musica in tempo reale e i social media trasformano ogni utente in un potenziale DJ, il concetto di “originalità” sembra sempre più sfuggente. Eppure, se guardiamo indietro nella storia della musica, scopriamo che le innovazioni più rivoluzionarie sono sempre nate dalla contaminazione, dall’ibridazione, dall’errore trasformato in genio. È quello che potremmo chiamare Pensiero Pirata: l’arte di navigare tra le correnti musicali esistenti per scoprire nuovi continenti sonori.
La pirateria musicale non è solo una questione di copyright violato o di file condivisi illegalmente. In realtà la pirateria è sempre stata il carburante vero dell’innovazione pur con le sue innumerevoli contraddizioni. È una filosofia creativa che affonda le radici in una tradizione molto più antica: quella della vera pirateria dei mari, quando tra il XVII e XVIII secolo le navi corsare erano laboratori di democrazia multirazziale, autogoverno collettivo e resistenza all’autorità.
Questo articolo è una sorta di “rework” di un precedente articolo di otto anni fa, di Radio Atlantide, recuperato casualmente per dargli nuova vita e spinta.
Un articolo che è insieme mappa progettuale, punto di partenza e rotta agli approdi successivi del “Pensiero Pirata”
L’Eredità della Nazione Pirata
Prima di tracciare le nostre rotte musicali, dobbiamo comprendere cosa significasse davvero essere pirati. Le navi di Barbanera, Bartholomew Roberts e “Calico Jack” Rackham non erano solo bande di predatori – erano esperimenti sociali rivoluzionari. Equipaggi multirazziali dove ex-schiavi navigavano accanto a marinai europei, dove il Capitano e i Quartiermastro venivano eletti dall’equipaggio e potevano essere destituiti, dove il bottino era diviso secondo quote prestabilite e esistevano forme di assicurazione sociale ante litteram.
Non sempre le cose andavano così lisce ma nella maggior parte dei casi, la “Società Pirata” per quanto di breve durata, fu un grande esempio di democrazia e integrazione.
Quando queste navi attraccavano nei loro porti sicuri – Port Royal in Giamaica, Nassau alle Bahamas, Tortuga a Haiti – creavano delle proto-città stato dove vigevano regole diverse: meritocrazia, tolleranza religiosa, collettivismo creativo. Erano laboratori di mescolanza culturale senza gerarchie razziali, dove l’innovazione era questione di sopravvivenza.
Questa eredità culturale pirata non scomparve con la fine dell’età d’oro della pirateria. Si sedimentò nel DNA culturale dei Caraibi, trasmettendosi di generazione in generazione attraverso le comunità maroon (schiavi fuggiti che ricrearono società alternative), i sincretismi religiosi, e soprattutto attraverso la musica.
Il Centro Gravitazionale: Giamaica 1968
La nostra mappa del tesoro musicale ha un centro gravitazionale preciso: la Giamaica del 1968, quando King Tubby trasformò un errore tecnico nella rivoluzione del Dub e nell’invenzione del Remix. Non è un caso che questo momento cruciale sia avvenuto proprio in Giamaica, l’isola dove l’eredità pirata era più forte e visibile.
Ma per capire come siamo arrivati a quel momento fatale, dobbiamo fare un passo indietro negli anni ’50, quando iniziò la rivoluzione dei Soundsystem.
I Soundsystem: Navi Pirata su Ruote
All’inizio degli anni ’50, i Soundsystem erano semplici negozi di dischi ambulanti. Ma si trasformarono rapidamente in vere e proprie navi da battaglia sonore: camion carichi di casse, amplificatori e subwoofer che solcavano i quartieri di Kingston come galeoni musicali. Attraverso questi sistemi, Toaster e DJ si davano battaglia in epici Soundclash – scontri sonori che riproducevano l’antica tradizione pirata della battaglia navale, ma con le armi della musica.
La più famosa di queste “flotte pirata sonore” era Duke Reid’s The Trojan, guidata da Arthur Reid, conosciuto come Duke Reid. Nel 1957-58-59, Duke Reid dominava i mari sonori dell’isola con la stessa autorità che un tempo avevano i capitani pirata. La sua filosofia era pura eredità corsara: innovare per sopravvivere, saccheggiare per creare, resistere all’autorità (in questo caso, le radio ufficiali controllate dal governo coloniale).
1962: L’Indipendenza e la Mutazione Sonora
Quando la Giamaica conquistò l’indipendenza dall’Inghilterra nel 1962, si verificò una mutazione sonora profonda. I suoni iniziarono a bypassare i filtri commerciali americani per tornare direttamente alle radici africane comuni. Era l’applicazione musicale di un principio di liberazione culturale: riafricanizzare le tradizioni che l’urbanizzazione americana aveva trasformato, creando una via giamaicana alle stesse fonti ancestrali che avevano dato vita a R&B, jazz e soul.
Ma questa riconnessione con l’Africa non era solo musicale – era spirituale e politica. Il Rastafarianesimo, movimento nato negli anni ’30 dopo l’incoronazione di Haile Selassie I come imperatore d’Etiopia nel 1930, aveva identificato nell’ultimo sovrano africano indipendente la divinità incarnata (Jah). Per i Rastafari, l’Etiopia rappresentava Zion (la Terra Promessa) in opposizione a Babylon (il sistema coloniale oppressivo occidentale). Quando nel 21 aprile 1966 Haile Selassie visitò la Giamaica, 100.000 Rastafari invasero l’aeroporto di Kingston in una delle manifestazioni religiose più imponenti della storia caraibica.

Quello fu il catalizzatore spirituale, ma secondo la leggenda popolare giamaicana, fu anche l’estate più calda della memoria a completare la trasformazione. Nei dance hall di Kingston, la gente non riusciva più a ballare il ritmo frenetico dello ska sotto il sole implacabile – “as the heat went up, the tempo went down”, come ricordano i musicisti dell’epoca. Le sezioni di fiati scomparvero, il basso elettrico divenne protagonista, e nacque il rocksteady. Ma quando anche quello si rivelò troppo dolce per esprimere la nuova coscienza rastafari, i producer come Duke Reid e King Tubby dovettero inventare qualcosa di completamente diverso: il reggae.
Ed è proprio in questo momento di fermento spirituale e musicale che i grandi producer giamaicani divennero i veri architetti del nuovo suono. Duke Reid, fedele alla tradizione pirata di adattarsi e innovare, creò nel 1964 il suo primo studio di registrazione. Ed è qui che la storia prende la sua svolta decisiva.
1968: L’Errore che Inventò il Futuro
C’è qualcosa di magico negli errori che cambiano la storia. Trentanove anni prima che King Tubby rivoluzionasse la musica in un piccolo studio di Kingston, a Londra un altro uomo aveva fatto una scoperta che avrebbe salvato milioni di vite umane. Era il 3 settembre 1928 quando Alexander Fleming tornò dalle vacanze al St. Mary’s Hospital per trovare qualcosa di imprevisto: una piastra Petri lasciata scoperta accanto a una finestra era stata contaminata da spore di muffa volate chissà da dove. Invece di buttare via il “lavoro rovinato”, Fleming guardò più attentamente: i batteri attorno alla muffa erano morti. “That’s funny“, commentò – le stesse parole che probabilmente mormorò King Tubby guardando quella registrazione “sbagliata”.
Perché proprio nel 1968, in uno studio di registrazione giamaicano, si stava ripetendo la stessa magia del caso fortunato. King Tubby, che lavorava per Reid come genio dell’ingegneria del suono, stava lavorando a tagliare alcuni brani di rocksteady, tra cui “On The Beach” dei Paragons. Byron Smith, l’ingegnere del suono, commise quello che sembrava un errore banale: dimenticò di alzare la parte vocale del brano durante la registrazione.
Il risultato fu una versione strumentale perfetta, pulita, essenziale. Ma King Tubby, cresciuto nell’eredità culturale pirata che trasforma ogni imprevisto in opportunità, non vide un errore – vide una rivoluzione. Come Fleming aveva trasformato una contaminazione accidentale nell’alba dell’era antibiotica, quella stessa notte Tubby utilizzò quella base strumentale per inventare qualcosa di completamente nuovo durante un Soundclash.
Due uomini, due epoche, due continenti. Stesso principio: l’intelligenza di riconoscere il genio nascosto negli errori. Fleming aveva scoperto per caso che la natura produce sostanze che uccidono i batteri; King Tubby scoprì per caso che la musica poteva essere decostruita e ricostruita all’infinito. Entrambi trasformarono l’accidente in metodo sistematico, l’errore in rivoluzione.
Diede al MC ampio spazio di manovra tra le strofe, permettendogli di improvvisare, di rappare, di creare una narrazione sopra la musica. Era nato il Dub, e con esso il concetto di Remix.
Il Dub: Manifesto del Pensiero Pirata
Il Dub non era solo musica, era manifesto sonoro del Pensiero Pirata. King Tubby e i suoi seguaci (Lee “Scratch” Perry, Scientist, Mad Professor) iniziarono a trattare lo studio di registrazione come i loro antenati pirati trattavano le navi catturate: prendevano brani esistenti e li saccheggiavano creativamente.
- Isolavano singoli elementi (batteria, basso, tastiere) come pirati che selezionavano il bottino più prezioso
- Aggiungevano effetti (eco, riverbero, filtri) come modifiche strutturali alle navi catturate
- Manipolavano i suoni in tempo reale come capitani che dirigevano le manovre in battaglia
- Creavano versioni completamente nuove degli stessi brani, applicando il principio pirata della trasformazione creativa
Ogni brano aveva la sua “version” – la versione originale e infinite reinterpretazioni dub. Era il primo esempio sistematico di cultura del versioning nella storia della musica moderna, l’equivalente sonoro delle tattiche pirata di adattamento e sopravvivenza.
La Filosofia del Versioning Pirata
Lo studio di King Tubby a Waterhouse, Kingston, funzionava secondo principi che rispecchiavano perfettamente l’eredità della nazione pirata:
Democrazia Creativa: Ogni musicista poteva reinterpretare qualsiasi brano. Non esistevano gerarchie creative assolute.
Collettivismo del Suono: Le “versions” appartenevano alla comunità, non al singolo autore. Come il bottino pirata, erano patrimonio collettivo.
Innovazione per Sopravvivenza: Bisognava sempre trovare nuovi modi di reinventare lo stesso materiale per rimanere competitivi nei Soundclash.
Resistenza all’Autorità: Le major discografiche non capivano il dub. Era musica “sbagliata”, “incompleta”. Perfetta per chi aveva nel DNA la resistenza al potere costituito.
BOX: King Tubby – Il Primo Pirata delle Onde
Nel 1961, in un piccolo laboratorio di Waterhouse, King Tubby costruì con le sue mani un trasmettitore radio e diede vita a “TRS” (Tubby’s Radio Station). Mentre la Jamaica Broadcasting Corporation controllava rigidamente cosa andava in onda, limitandosi alla programmazione istituzionale britannica, Tubby trasmetteva quello che la gente voleva davvero sentire: puro R&B americano direttamente da New Orleans e Miami. Come ogni vero imprenditore, aveva capito la regola d’oro: “Give The People What They Want”.
Due oceani, stesso spirito pirata ma motivazioni diverse. Mentre Ronan O’Rahilly e gli altri imprenditori offshore trasformavano le acque internazionali in territori commerciali liberi, King Tubby sfidava l’autorità culturale dal ghetto di Kingston applicando lo stesso principio commerciale: dare alla gente la musica che voleva, non quella che le istituzioni imponevano. Il controllo delle frequenze era controllo del potere, ovunque nel mondo.
Ma tornando a Waterhouse, TRS aveva lo stesso problema delle sorelle pirata europee: le autorità. Le emissioni di Tubby interferivano con le frequenze della JBC – come le stazioni del Mare del Nord che disturbavano le comunicazioni ufficiali. Quando scoprì che i soldati erano stati inviati per individuare la fonte delle trasmissioni, Tubby smantellò volontariamente la stazione. Come un vero pirata, sapeva quando ritirarsi per combattere un altro giorno.
Lloyd “Jammy” James ricorda ancora quella piccola stazione che anticipava la grande rivoluzione pirata globale. TRS durò poco, ma stabilì un principio universale: l’innovazione nasce dalla resistenza alle regole.
Sette anni dopo, quello stesso spirito pirata avrebbe rivoluzionato la musica mondiale attraverso il dub. Dal trasmettitore radio al mixer, King Tubby restava fedele alla filosofia pirata: saccheggiare la tecnologia esistente per creare nuove rotte verso il futuro.
La Propagazione: Dal Centro ai Quattro Venti
Dal centro gravitazionale giamaicano del 1968, il Pensiero Pirata si propagò in ogni direzione, seguendo le rotte commerciali e migratorie come un tempo facevano le navi corsare:
Verso New York: Hip Hop e Disco
DJ Kool Herc rappresenta la diaspora fisica perfetta: nato a Kingston nel 1955, si trasferisce con la famiglia a 1520 Sedgwick Avenue nel Bronx nel novembre 1967. L’11 agosto 1973, durante una di quelle “back-to-school parties” che nel Bronx si organizzavano per raccogliere soldi per le spese scolastiche, Herc e la sorella Cindy applicarono fisicamente i principi del Soundsystem giamaicano al contesto urbano americano, dando vita all’Hip Hop.
Cindy Campbell, sorella di DJ Kool Herc, è una importante graffitista conosciuta con lo pseudonimo di PEP1 (174), era una B-Girl ed oggi, manager del fratello. Ma il suo ruolo più importante e fondamentale, come la definisce lo stesso Kool Herc, è essere stata “la talentuosa prima donna dell’Hip-Hop“.
Il successo fu tale che le feste si evolsero rapidamente dalle sale interne alle “block parties” all’aperto, quando i sound system divennero troppo potenti per gli spazi chiusi. Herc portò con sé il “toasting” (rappare sopra la musica), la cultura del break e l’idea di estendere le sezioni ritmiche – tutti elementi che trasformò in qualcosa di completamente nuovo applicando la filosofia pirata della necessità che genera innovazione.
BOX: Tom Moulton – Il Pirata Parallelo di Fire Island
Contemporaneamente, Tom Moulton applicava tecniche di editing simili al dub nella creazione dei primi remix disco, dimostrando come i principi della cultura del versioning giamaicana si stessero diffondendo attraverso canali paralleli. Una evoluzione concettuale.
I Paralleli Sorprendenti
STESSO ANNO FATALE: Mentre King Tubby inventava il dub nel 1968, Moulton si trasferiva nel Bronx e iniziava a sperimentare con il beat-matching.
STESSA FILOSOFIA DELL’ERRORE: Come Fleming e Tubby, Moulton trasformò un incidente in rivoluzione. Nel 1974, quando lo studio Media Sound finì i dischi acetato da 7″, fu costretto a usare un 12″ – nasceva così il 12″ single che rivoluzionò la club culture.
STESSE TECNICHE RIVOLUZIONARIE:
- Isolamento strumentale: Come il dub, Moulton creava versioni “stripped-down” concentrandosi su batteria e basso
- Estensione temporale: Da 3 minuti a 6+ minuti, esattamente come le “versions” giamaicane
- Breakdown sections: Le famose “disco breaks” di Moulton replicavano lo spazio aperto del dub per MC/DJ
- Versioning culture: Ogni hit aveva la sua versione Moulton, come ogni riddim reggae aveva infinite interpretazioni
L’Invenzione Accidentale del 12″ (1974)
Come King Tubby e Alexander Fleming, Moulton trasformò un errore in rivoluzione. Al Media Sound Studios nel 1974, José Rodriguez – l’ingegnere portoricano che il capo chiamava sprezzantemente “the Puerto Rican sweeper” (un insulto razzista che scatenò la furia di Moulton) – rimase senza acetati da 7″ mentre doveva tagliare “I’ll Be Holding On” di Al Downing.
“Dissi ‘Ugh, è ridicolo,'” ricorda Moulton vedendo quel piccolo cerchio di solchi su un disco da 12″. Rodriguez suggerì: “So cosa possiamo fare: allargare i solchi e alzare il volume.” Tagliarono a +8 decibel e “quando lo sentii quasi svenni… il suono era incredibile.”
Era nato il 12″ single – l’arma segreta che rivoluzionò la club culture mondiale. Moulton insistette sempre che Rodriguez avesse pieno credito: le iniziali “TM/JR” nei solchi divennero il marchio distintivo di una partnership che incarnava perfettamente lo spirito pirata della meritocrazia creativa.
La Connessione Giamaicana (1977)
La vera connessione arrivò quando Moulton fu inviato in Giamaica per remixare le leggendarie sessioni di Studio One di Clement “Coxsone” Dodd, inclusi i primi brani di Bob Marley and the Wailers.
“I was smuggling the tapes out of there,” ricorda Moulton. “Anything Jamaican had to stay in Jamaica… but this man, Clement Dodd — everybody feared this man.”
Due Oceani, Stessa Rivoluzione
Moulton a Fire Island e Tubby a Kingston stavano inconsciamente applicando la stessa filosofia pirata:
- Saccheggiare creativamente il materiale esistente
- Trasformare l’errore in innovazione
- Estendere il piacere del dancefloor
- Resistere alle convenzioni dell’industria
La vera magia del Pensiero Pirata: quando le condizioni sono giuste, la stessa rivoluzione emerge simultaneamente in luoghi diversi, come generazione spontanea di creatività.
Verso l’Europa: La Grande Diaspora Britannica
Il dub attraversò l’Atlantico seguendo le vere rotte migratorie. La Windrush Generation (1948-1971) portò fisicamente centinaia di migliaia di giamaicani nel Regno Unito: 250.000 solo nell’area di Londra, creando comunità che mantennero vivi i Soundsystem e la cultura dub anche quando questa declinava in Giamaica.
Don Letts, DJ jamaican-britannico, iniziò a suonare dub e ska nei club punk di Londra, creando la prima ibridazione punk-reggae. Bands come The Clash incorporarono ritmi giamaicani nei loro esperimenti sonori, mentre la Trojan Records (fondata nel 1967 e intitolata a Duke Reid “The Trojan”) diventava il ponte commerciale tra Giamaica e Regno Unito.
Ma la contaminazione più esplosiva fu il Two Tone/Ska Revival (1979-1985): Jerry Dammers degli Specials fondò la 2 Tone Records creando una perfetta pirateria circolare. Bands come Specials, Madness, Selecter e The Beat “saccheggiarono” creativamente i classici ska anni ’60, spesso senza crediti iniziali, ma trasformandoli in hit globali che fecero guadagnare agli originali artisti giamaicani (come Prince Buster) più dalle cover che dai loro dischi originali. Era pensiero pirata puro: multirazziale, anti-establishment, basato sull’appropriazione creativa come atto politico.
Verso l’Africa: Il Ritorno alle Origini
Parallelamente al dub giamaicano, l’Afrobeat di Fela Kuti rappresentava un’altra applicazione del Pensiero Pirata: saccheggiare creativamente funk, jazz e soul americani per riportarli alle radici africane originali. Come i produttori giamaicani, Fela applicava tecniche di call and response e improvvisazione collettiva che erano sempre esistite nelle tradizioni Yoruba, ma ora armate di nuove sonorità “occidentali” rubate e riafricanizzate. Due oceani, stesso principio pirata: trasformare l’influenza coloniale in resistenza culturale.
Verso il Futuro: L’Era Digitale e i Loop Circolari
Le tecniche di manipolazione sonora del dub sono alla base di generi come Jungle (UK, anni ’90: breakbeat + basslines reggae + MC culture giamaicana), Drum & Bass, Dubstep (evoluzione diretta delle tecniche dub di King Tubby), Trap e tutta la musica elettronica contemporanea.
Il Two Tone britannico attraversò l’Atlantico negli anni ’90 ispirando la terza ondata ska americana (No Doubt, Rancid, Mighty Mighty Bosstones), dimostrando come il pensiero pirata funzioni in loop circolari: Giamaica → UK → USA → ritorno globale, ogni “furto” che diventa innovazione pronta per essere “pirata” di nuovo.
Il Nodo Gordiano Musicale
La mappa del tesoro che abbiamo iniziato a tracciare non segue una logica lineare. Come un vero nodo gordiano, ogni punto si collega a tutti gli altri attraverso contaminazioni, influenze e rimbalzi temporali. Dal centro gravitazionale del dub giamaicano possiamo navigare in qualsiasi direzione:
- Indietro nel tempo verso le tradizioni africane dei griots e i work songs
- Lateralmente verso movimenti contemporanei come il Krautrock tedesco o l’Afrobeat nigeriano
- In avanti verso l’hip hop, la disco, l’elettronica e l’AI generativa
- In loop attraverso ritorni e revival che riattualizzano costantemente l’eredità pirata
Il Pensiero Pirata Oggi
Nel 2025, mentre un’app di intelligenza artificiale può generare una canzone in stile reggae-dub in pochi secondi, il Pensiero Pirata è più vivo che mai. Ogni bedroom producer che lavora nella sua camera con software piratato, ogni tiktoker che crea remix di 15 secondi, ogni algoritmo che impara dalle opere esistenti per generarne di nuove, ogni artista Two Tone che trasforma un classico ska in hit punk, sta applicando inconsciamente i principi sviluppati da King Tubby e dalla tradizione pirata giamaicana.
La differenza è che oggi tutti abbiamo accesso agli strumenti che un tempo erano prerogativa di pochi visionari. Ogni smartphone è un potenziale studio di King Tubby, ogni app è un laboratorio di sperimentazione sonora, ogni piattaforma social è un Soundsystem globale.
Il Pensiero Pirata non è mai stato così democratico – e pericoloso. Perché quando tutti possono essere pirati, chi sono i veri innovatori? Quando tutto può essere remixato, cosa significa ancora originalità?
Ma forse è proprio questa libertà totale di espressione che spaventa il potere costituito. Come le navi corsare sfuggivano al controllo degli imperi, oggi ogni smartphone diventa un territorio libero dove non esistono gerarchie creative assolute. Il Pensiero Pirata minaccia chi vuole controllare chi può creare, come e per chi – dalle major discografiche agli algoritmi, da chi decide cosa è “arte” a chi stabilisce chi ha diritto di parola.
La risposta, forse, sta nell’eredità più profonda della tradizione pirata: l’innovazione non nasce dalla creazione dal nulla, ma dalla capacità di vedere possibilità nuove in ciò che esiste già. Il vero pirata musicale non è chi si appropria, ma chi libera le potenzialità nascoste nella musica esistente.
Questa è solo la prima rotta della nostra mappa del tesoro. Dal centro gravitazionale del dub giamaicano possiamo navigare verso infinite direzioni: l’editing disco di Tom Moulton, l’esplosione hip hop del Bronx, l’incontro tra punk e rap nella New York degli anni ’80, fino alle frontiere contemporanee dell’AI generativa e della cultura TikTok.
Il Pensiero Pirata non è una teoria musicale – è una filosofia di vita. E la sua mappa del tesoro è infinita come l’oceano stesso.
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