Chi è Marcus Lindberg?
Reading Time: 5 minutesMarcus Lindberg ha 38 anni e una doppia anima. Giornalista musicale freelance, viaggia attraverso Oslo, Reykjavik, Stoccolma e Copenhagen cercando di capire perché la musica nordica è diventata la colonna sonora del mondo. Ma il viaggio si trasforma in qualcosa di più profondo: un confronto con le contraddizioni del Nord e con se stesso.
Il giornalista musicale al centro di “Nordic Voices – La Grande Rete Musicale Vichinga d’Europa“
Un osservatore di confine
Marcus Lindberg ha 38 anni e una doppia anima che non ha mai smesso di tormentarlo. È un giornalista musicale nordico, nato a Göteborg da madre svedese e padre tedesco, è cresciuto tra due mondi nordici senza mai sentirsi completamente a casa in nessuno dei due. Questa posizione perpetua “di confine” – né completamente insider né totalmente estraneo – ha forgiato il suo sguardo: abbastanza vicino per cogliere le sfumature, abbastanza distante per mantenere il distacco critico.
Da dieci anni vive a Berlino, dove si è costruito una reputazione come giornalista musicale freelance. I suoi reportage approfonditi sulla scena underground tedesca gli hanno fatto un nome nelle riviste musicali europee e internazionali, ma ha sempre mantenuto un legame forte – quasi viscerale – con le sue radici scandinave.
Il metodo: carta, penna, pazienza
In un’epoca di tweet e thread infiniti, Marcus è un giornalista vecchio stampo. Crede ancora nel reportage lento, nel camminare le strade, nell’ascoltare le persone fino in fondo. Porta sempre con sé un taccuino di carta – non si fida completamente degli strumenti digitali per le note importanti – e scrive a mano le sue prime impressioni. Solo dopo, di sera in hotel, le trascrive e le elabora al laptop.
Ha un rapporto quasi ossessivo con la precisione: ogni citazione va verificata, ogni dato controllato due volte. Questo lo rende lento – i suoi editor si lamentano spesso delle scadenze mancate – ma anche affidabile. I suoi articoli non contengono quasi mai errori, e quando capita, Marcus ci sta male per giorni.
L’uomo dietro il taccuino
Aspetto: Alto, magro, con capelli castani mossi che cominciano a diradarsi (cosa che nota con fastidio ogni mattina ma che non lo ossessiona davvero). Occhi castani che diventano più intensi quando è concentrato. Porta occhiali con montatura nera spessa – il tipo di occhiali hipster-intellettuali che ha comprato cinque anni fa e che continua a usare perché “funzionano”. Il suo viso tradisce facilmente il suo stato d’animo, soprattutto quando è scettico (cosa che accade spesso).
Stile: Jeans scuri, maglioni a collo alto, giacche pratiche, sciarpe. Tonalità neutre: nero, grigio, blu scuro. C’è qualcosa di leggermente anacronistico nel suo aspetto – sembra un intellettuale degli anni ’90 trapiantato nel 2025, e in parte è esattamente così.
Abitudini: Si toglie e pulisce gli occhiali quando è nervoso. Beve quantità eccessive di caffè. Scrive velocissimo a mano con una grafia che solo lui decifra. Quando ascolta musica dal vivo chiude gli occhi, completamente immerso.
La musica che lo ha formato
Cresciuto negli anni ’90, Marcus è stato forgiato dal grunge, dal post-rock, dall’indie. Ma l’artista che lo ha segnato più profondamente è Björk – sin dai tempi dei Sugarcubes, quando ancora suonava in una band punk-alternative islandese prima di diventare l’icona globale che è oggi. Quella combinazione di sperimentazione radicale e intensità emotiva, di astrazione sonora e vulnerabilità umana, ha plasmato il suo modo di ascoltare e comprendere la musica nordica. Björk gli ha insegnato che il Nord non è solo freddo e minimalismo – è anche esplosione, caos controllato, emozione primordiale.
Conosce il black metal a livello professionale – impossibile ignorarlo se sei cresciuto in Scandinavia e lavori come giornalista musicale – ma non è mai stato parte di quella scena. È il tipo di conoscenza che si acquisisce leggendo, studiando, analizzando da fuori, non vivendola dall’interno. Troppo nichilista, troppo violento per i suoi gusti personali. Però lo rispetta intellettualmente e culturalmente, e questo rispetto – misto a una certa curiosità antropologica – emerge nei suoi reportage quando incontra musicisti della scena black metal norvegese.
Ha una collezione di vinili (naturalmente) e acquista musica principalmente su Bandcamp, dove può supportare direttamente gli artisti. È una scelta consapevole, quasi militante, anche se a volte scomoda in un mondo dominato dallo streaming.
Le contraddizioni di un narratore
Marcus vive una tensione costante. Da un lato, come giornalista indipendente ha bisogno di pubblicare articoli che vendono, che interessano i lettori mainstream. Dall’altro, disprezza la semplificazione, l’infotainment, la riduzione della cultura a prodotto di consumo facilmente digeribile.
Non è un attivista, e questo a volte lo fa sentire in colpa. Mentre molti suoi colleghi prendono posizioni politiche chiare, Marcus ha sempre cercato di mantenere una posizione di “osservatore neutrale”. Ma il viaggio attraverso il Nord – Oslo, Reykjavik, Stoccolma, Copenhagen – lo sta costringendo a confrontarsi con una verità scomoda: la neutralità è impossibile. O peggio, è complicità.
Ha una tendenza alla malinconia (forse è il suo lato scandinavo): ama le città d’inverno, il grigio, la pioggia, la luce bassa. Non è depresso, ma ha un temperamento riflessivo e malinconico che lo porta a vedere la bellezza anche nelle cose triste.
La vita personale: relazioni profonde, cerchia ristretta
Single da due anni dopo una relazione lunga con Katrin, una fotografa berlinese. La rottura è stata amichevole ma dolorosa – lei voleva stabilità, figli, una vita meno nomade; lui non riusciva a immaginare di smettere di viaggiare per i suoi reportage. A volte si chiede se abbia fatto la scelta giusta, ma poi sale su un altro aereo e la domanda svanisce.
Ha pochi amici stretti ma profondi. Preferisce le conversazioni lunghe nei bar tranquilli alle feste affollate. È rimasto in contatto con Leila, l’amica giornalista attivista di Malmö che compare in Nordic Voices – lei lo provoca costantemente, lo accusa di essere troppo “cerebrale” e poco impegnato, ma si rispettano profondamente. È uno di quei rapporti in cui le critiche sono aspre proprio perché nascono dall’affetto.
La domanda che lo tormenta
Negli ultimi anni Marcus è ossessionato da una questione centrale: a cosa serve il giornalismo culturale in un’epoca di crisi?
Ha passato anni a scrivere di musica, arte, cultura – cose “belle” ma apparentemente secondarie rispetto ai grandi problemi del mondo: guerre, cambiamento climatico, disuguaglianze crescenti. Ma sta cominciando a capire che la cultura non è neutrale, che la musica non è neutrale, che scrivere del “Brand Nordico” senza interrogarne le contraddizioni è già una scelta politica.
Questa consapevolezza emerge con forza durante il viaggio nordico, soprattutto dopo l’incontro con Sara, l’attivista svedese di origine palestinese che lo costringe a confrontarsi con le zone d’ombra del modello scandinavo che ha sempre ammirato.
Il viaggio di trasformazione
Il reportage “Nordic Voices – La Grande Rete Musicale Vichinga d’Europa” non è solo un’indagine sulla musica nordica contemporanea. È un viaggio di trasformazione personale – da osservatore distaccato a testimone consapevole, da narratore che cerca la neutralità a voce che deve scegliere da che parte stare.
Quando Marcus parte per Oslo l’8 novembre 2025, porta con sé una domanda apparentemente semplice: perché la musica nordica – dal Black Metal al pop islandese, dall’elettronica svedese alle colonne sonore minimaliste – è diventata la colonna sonora del mondo contemporaneo?
Ma settimana dopo settimana, città dopo città, quella domanda si complica. Si intreccia con questioni di appropriazione culturale, commercializzazione dell’eredità, silenzi etici, contraddizioni politiche. E Marcus scopre che rispondere significa mettere in discussione non solo il Nord, ma anche se stesso.
Il taccuino e la coscienza
Nel suo taccuino di carta – quello che porta ovunque, con la copertina di pelle ormai consumata – Marcus scrive ossessivamente. Note sparse, riflessioni, domande senza risposta. In una delle ultime pagine, dopo l’incontro con Sara a Stoccolma, c’è una frase sottolineata tre volte:
“Le scelte. Sempre le scelte. Non posso più fingere di essere solo un narratore. Narrare è già scegliere cosa mostrare e cosa nascondere. E io devo decidere che tipo di narratore voglio essere.”
Quella frase è il cuore del viaggio di Marcus Lindberg. E forse è anche il cuore di “Nordic Voices”.
Marcus Lindberg è un personaggio completamente inventato, creato per esplorare attraverso il narrative journalism temi complessi legati alla musica, all’identità culturale e alle contraddizioni del mondo contemporaneo. Ma le domande che si pone sono reali. Le tensioni che vive sono reali. E la sua ricerca di un modo più onesto di raccontare le storie è, forse, la sfida di ogni giornalista culturale oggi.
Marcus Lindberg è il protagonista di “Nordic Voices – La Grande Rete Musicale Vichinga d’Europa”, un progetto di narrative journalism fiction di Massimo Siddi per radioatlantide.it

1 pensato su “Chi è Marcus Lindberg?”
I commenti sono chiusi.