L’Hyperpop ti Seppellirà (e ti Piacerà)
Reading Time: 6 minutesMentre i custodi del passato liquidano la musica di oggi come “rumore”, l’Hyperpop è diventato il manifesto sonoro delle generazioni Z e Alpha. Non è un genere, ma una mutazione culturale nata online che usa l’Auto-Tune come arma e la precarietà come estetica. Questo articolo è un’analisi provocatoria su come il suono del futuro stia smantellando la tirannia della nostalgia, ridefinendo non solo la musica, ma anche l’identità, la socialità e l’economia della creazione.

Immagini creata con Imges AI
Manifesto Contro la Tirannia della Nostalgia
Sentite Anche Voi Questo Rumore? O Siete Rimasti Fermi al Jingle di Ieri?
C’è un ritornello stanco, una melodia pigra che serpeggia nell’etere e nei feed dei social media, intonata da un coro di custodi del passato. È la lamentela ciclica, quasi un rito rassicurante, contro la musica di oggi, liquidata con la sufficienza di un epiteto lapidario: “musica di merda”.
Poco importa se l’oggetto del disprezzo è la trap italiana – un genere ormai addomesticato, diventato il nazionalpopolare per Millennial e gestito dalle stesse major che un tempo si criticavano. Il paradosso è che si combatte una battaglia contro il passato prossimo, ignorando il futuro che sta già suonando altrove. Il giudizio non nasce da una superiorità culturale, ma da un provincialismo rassicurante: un pulpito costruito su decenni di ascolti che, anziché aprire la mente, hanno sigillato le frontiere culturali del Paese.
La vera domanda, però, va oltre il semplice scontro tra “bello” e “brutto”. Si spinge nel tecnico, nel dogma dell’intonazione perfetta, incarnato dalla critica più frequente: “Non sa cantare, usa l’Auto-Tune“. Ma questo proiettile, scagliato per difendere una presunta purezza vocale, colpisce il bersaglio sbagliato. Viene indirizzato alla trap italiana, che usa la tecnologia come un trucco di produzione, ma ignora completamente dove quella stessa tecnologia è diventata un’arma culturale.
Mentre si discute se un cantante sia stonato, l’Hyperpop ha preso l’Auto-Tune e lo ha trasformato in un manifesto filosofico, decostruendo la voce umana fino a renderla un puro dato sintetico. Non è più un correttivo, è un atto di sabotaggio sonoro, la forma più estrema e moderna del Do-It-Yourself punk. Cosa succede, quindi, quando i critici del presente non solo si barricano nella nostalgia, ma non riconoscono nemmeno il campo di battaglia su cui si sta combattendo la vera guerra estetica?
Succede che, mentre loro lucidano i vinili del passato, le generazioni Zeta e Alpha stanno già costruendo cattedrali sonore su altre piattaforme, con altri linguaggi. E il suono che definisce questa nuova frontiera ha un nome: Hyperpop.
Il Dogma del Virtuosismo e la sua Decostruzione
La critica all’Auto-Tune è solo la punta dell’iceberg di un sistema di valori obsoleto: quello del virtuosismo tecnico come misura assoluta della qualità. L’idea che un musicista debba “saper suonare bene” o “saper cantare bene” secondo canoni accademici è un feticcio che l’Hyperpop, ereditando la lezione più profonda del punk, smantella completamente.
Non si tratta di essere anti-musicali, ma di essere anti-virtuosismo fine a se stesso. L’obiettivo non è eseguire un assolo di chitarra impeccabile, ma usare un sample di chitarra distorto per comunicare un’idea nel modo più diretto possibile, anche se questo significa suonare “sbagliato”. In questo nuovo paradigma, l’efficacia comunicativa, l’innovazione concettuale e l’impatto emotivo prevalgono sulla perizia tecnica. La domanda non è più “Sai suonare?”, ma “Hai qualcosa da dire?”.
È il concetto artistico del creare un Pop così perfetto da suonare finto
Decostruire il Suono per Ricostruire il Mondo
L’incapacità di comprendere la musica digitale contemporanea non è un fallimento del gusto, ma un fallimento dell’ascolto. È pretendere di leggere un testo in una lingua sconosciuta e decretare che sia privo di significato. La trap, con la sua metrica e le sue tematiche, è stata solo il primo sintomo. E ne parlo al passato perché, mentre in Italia sembra la “tendenza più smart”, quel genere è definitivamente morto nel momento in cui è entrato a Sanremo o “riempie” le piazze dei festival al “cuore di panna”.
L’Hyperpop, al contrario, è la diagnosi definitiva di un cambio di paradigma totale. Questo non-genere, nato dalle viscere di internet – da SoundCloud, Discord, TikTok – non è una semplice evoluzione. È una mutazione genetica.
La sua estetica “glitchata”, frammentata e a tratti violenta non è un capriccio, ma il riflesso sonoro di una realtà percepita come rotta, instabile e satura di stimoli. È la colonna sonora della crisi climatica, della precarietà lavorativa, dell’ansia da performance sui social media. La “bruttezza” o la “dissonanza” che un orecchio non allenato percepisce è, in realtà, una forma di realismo radicale.
L’Hyperpop prende gli elementi più riconoscibili del pop e li sottopone a un processo di accelerazione e sabotaggio. È musica che suona come l’esperienza di avere venti tab aperti nel browser della propria anima. Le voci vengono processate all’estremo, trasformando l’Auto-Tune in un filtro che modella la voce in un avatar post-umano. Le produzioni diventano massimaliste: un caos controllato dove beat trap distorti si scontrano con melodie bubblegum, chitarre nu-metal cozzano contro glitch elettronici e breakcore. Anche le strutture classiche della canzone vengono fratturate, sostituite da cambi di tempo improvvisi e durate brevi, perfette per la soglia di attenzione forgiata da TikTok.
Artisti come 100 gecs, Charli XCX, la compianta SOPHIE e A. G. Cook non stavano “facendo musica strana”. Stavano traducendo in suono il linguaggio del presente digitale: frammentato, ironico e incredibilmente intenso.
Un’Anomalia Generazionale: Eredi dei Boomer, non dei Millennial
Ecco il punto che sfugge all’ascolto nostalgico. Queste nuove generazioni, cresciute con l’intero archivio culturale della storia a portata di algoritmo, possiedono una conoscenza del passato musicalmente più vasta di Millennial e Gen X. Non praticano il campionamento letterale, ma un “citazionismo estetico”: non rubano un riff nu-metal, ma ne evocano l’ansia; non copiano una melodia Eurodance, ma ne riproducono l’euforia sintetica.
In questo, manifestano un’inaspettata vicinanza sentimentale con i loro nonni, i Boomer. Per entrambe le generazioni, la musica non è mero intrattenimento o un feticcio da curare in playlist perfette. Torna a essere strumento primario di costruzione identitaria, un linguaggio per decodificare e vivere la realtà. Per i Boomer era la contro-cultura, per la Gen Z è la community su Discord. Ma la funzione è la stessa: la musica è di nuovo “vita vera e vissuta”, anche se quella vita è ibrida, tra il fisico e il digitale.
La Colonna Sonora delle Identità Fluide (e delle Economie Precarie)
L’Hyperpop non è solo una questione sonora, ma una profonda dichiarazione identitaria. In un mondo dove le etichette di genere e sessualità sono sempre più fluide, l’Hyperpop offre la colonna sonora perfetta. È musica intrinsecamente non-binaria. Rifiuta la dicotomia tra “autentico” e “artificiale”, celebrando la finzione e il digitale come strumenti di liberazione. Abbatte il muro tra cultura “alta” e “bassa”, facendo convivere riferimenti a videogiochi e meme con sperimentazioni complesse.
È la musica di una generazione che non ha bisogno che la propria arte sia “rassicurante”, ma che rispecchi la propria condizione: precaria, iper-connessa, ansiosa, ma anche incredibilmente creativa e resiliente. L’eroe dell’Hyperpop, il “bedroom producer”, non è solo una figura stilistica, ma il prodotto di una necessità economica e di una scelta politica. Creare musica con un laptop in cameretta è un atto di autonomia per aggirare un sistema industriale insostenibile. Il DIY non è un ripiego, è una strategia di sopravvivenza culturale.
Dalla Club Culture all’Experience Culture: La Rivoluzione “Sober”
Questa rivoluzione identitaria si traduce in una rivoluzione sociale. La cosiddetta “generazione sober“ sta ridefinendo il concetto stesso di aggregazione. Spinti da una maggiore attenzione al benessere e dall’urgenza di connessioni reali dopo la pandemia, stanno abbandonando il modello di socialità basato sull’eccesso alcolico. La musica smette di essere il sottofondo di una serata e ne diventa il centro gravitazionale.
Non si va più in un locale per bere, si va in un locale per ascoltare. Scene come l’Hyperpop, il neo post-punk o l’indie alternativo diventano così i catalizzatori di una nuova experience culture. L’obiettivo è la lucidità, la partecipazione intensa, la condivisione di un’esperienza artistica catartica. I piccoli club e i centri sociali diventano safe spaces dove la comunità si costruisce sull’ascolto attivo e sulla presenza, non sullo stordimento.
È un altro paradigma che i custodi del passato non possono decifrare, abituati a un mondo dove il rock ‘n’ roll era sinonimo di trasgressione chimica e non di lucidità collettiva; un mondo che oggi, quando necessario, sceglie la riduzione del danno per liberare l’espressività, non la repressione per contenerla.
L’Archeologia del Gusto Contro la Musica Vivente
Continuare a giudicare le espressioni musicali del 2025 con i criteri del 1995 non è critica musicale: è archeologia. Questa prospettiva è ferma non solo nel tempo, ma anche nello spazio: ignora che la nuova musica è globale, creata da reti de-territorializzate di artisti che collaborano da Berlino a Tokyo via Discord, rendendo il provincialismo di certe critiche ancora più evidente.
L’Hyperpop e le sue ramificazioni non sono un attacco alla “buona musica”. Sono la prova che la musica è viva, che si sta evolvendo in direzioni che i vecchi guardiani non possono né prevedere né controllare. Le radio hanno perso il monopolio della scoperta. I club non sono più gli unici templi del suono. La critica non è più l’unica voce che legittima un artista.
Il “rumore” che sentite non è il segnale di una fine, ma di un inizio. È il suono di nuove comunità che si formano, di nuovi linguaggi che prendono forma, di un futuro che sta accadendo adesso, che vi piaccia o no. Si può scegliere di alzare il volume del passato per non sentirlo, oppure si può fare un respiro, abbassare le difese e provare ad ascoltare davvero.
Potreste scoprire che quella che chiamate “musica di merda” è semplicemente il suono di un mondo che non è più il vostro. E non c’è niente di male in questo. Anzi!
L’Hyperpop non è il futuro della musica. È la musica che ha già accettato di vivere nel presente caotico, digitale e accelerato che gli altri si ostinano a ignorare.
(Massimo Siddi – LNWSI! La New wave Sono Io! 2025)