Don Letts, Punk e Reggae: La Storia di una Rivoluzione a Londra

Reading Time: 10 minutesLa storia di Don Letts, Malcolm McLaren e Vivienne Westwood è un viaggio dalle strade di Brixton alla storica King’s Road. Un racconto che esplora la nascita di una rivoluzione culturale a Londra, nata dall’incontro tra il punk americano “saccheggiato” dal CBGB e la resistenza del reggae della Generazione Windrush.

Don Letts, Nothing Hill 1976 - Foto di Rocco Redondo

Don Letts, Nothing Hill 1976 - Foto di Rocco Redondo

Reading Time: 10 minutes

“Metti le cuffie o alza il volume di qualsiasi cosa tu abbia sottomano e che produca “musica”, perché ci sono storie che puzzano di birra rancida e muffa, poi finiscono per cambiare il modo in cui il mondo ascolta “musica”, quando “musica” non è solo suono ma anche e soprattutto memoria, identità, resistenza… rivolta. Questa è una di quelle storie. Non ha un inizio preciso e la sua fine non è mai stata scritta. Ha solo frammenti di vite che si incontrano, a volte si scontrano, spesso si fondono. Frammenti che si incastrano per creare qualcosa che sembrava non dovesse esistere, frammenti in cui, forse, c’eri anche tu.” [Narratore — voce fuori campo]

Lo Strappo

Manchester, 4 giugno 1976: Il concerto dei Sex Pistols

“Il Lesser Free Trade Hall di Manchester quella sera profuma di disinfettante e delusione. Quarantadue persone. Quarantadue!
Se le contassi una per una, potresti ricordare ogni volto, ogni maglietta strappata, ogni sguardo che oscilla tra noia e attesa. Ma quei quarantadue corpi non sanno ancora di essere testimoni di un’esplosione che cambierà per sempre il DNA della musica britannica.” [Narratore — voce fuori campo]

Il palco è un rettangolo di legno scricchiolante sotto luci al neon che trasformano tutto in un film dell’orrore a basso budget. Quando i Sex Pistols prendono posizione, l’aria si addensa. Johnny Rotten si avvicina al microfono con la grazia di un serpente che si prepara a mordere.

Il primo accordo è un pugno nello stomaco dell’establishment musicale. Non è solo volume, è un suono che lacera l’aria, un rombo che fa vibrare le finestre e tremare le certezze.

“Tra quelle quarantadue anime perdute ci sono volti che diventeranno leggenda: i futuri Joy Division, i Buzzcocks, persino qualcuno che un giorno formerà i The Smiths.” [Narratore — voce fuori campo]

Non lo sanno ancora, ma stanno assistendo alla nascita di un linguaggio nuovo, una grammatica della rabbia che parla direttamente alle loro frustrazioni di giovani senza futuro in una Manchester industriale che muore lentamente.

La musica è un martello che spacca il cemento della rispettabilità. Ogni nota è un graffio su una superficie lucida, ogni urlo di Rotten è la voce di una generazione che rifiuta di essere educata, pulita, presentabile. Il sudore cola sulle pareti, si mescola con la birra e diventa il battesimo di una rivoluzione che avrà il sapore amaro della verità.

Quando l’ultimo accordo muore nell’eco del locale semivuoto, il silenzio che segue è gravido di possibilità. Quei quarantadue testimoni escono nella notte di Manchester portando dentro di sé un virus musicale che contaminerà tutto ciò che toccherà.

Le Mani Callose e la Memoria

Atlantic Ocean, Estate 1955: Le radici della Generazione Windrush

La Queen Mary taglia le onde dell’Atlantico come una cattedrale galleggiante carica di sogni e illusioni. Sul ponte St. Ledger tiene la mano di Valerie Letts, che si accarezza la pancia rotonda dove Donovan sta già scalciando a tempo di ska.

Le sue mani, callose per anni di lavoro qualificato in Giamaica, tremano leggermente mentre fissa l’orizzonte dove dovrebbe apparire l’Inghilterra promessa dai manifesti coloniali.

St. Ledger è un artigiano rispettato nella sua isola, ma il vento salato dell’oceano porta già l’odore amaro di ciò che lo aspetta: sarà solo un altro “negro” in cerca di lavoro nelle fabbriche di Londra. I manifesti di reclutamento appesi per tutta la Giamaica mostravano volti sorridenti e fabbriche moderne, ma non parlavano degli sguardi di ghiaccio, delle porte che si chiudono, delle competenze che diventano invisibili quando la pelle è del colore sbagliato.

Valerie canta sottovoce una ninna nanna giamaicana mentre guarda le stelle. Sa che suo figlio crescerà sospeso tra due mondi: quello delle radici che non ha mai visto e quello dell’Inghilterra che non lo vorrà mai completamente. Il mare sotto di loro è nero come l’incertezza del futuro, ma nella pancia di Valerie pulsa già il ritmo di una musica che un giorno collegherà i continenti.

La Nave della Speranza

“La nave procede nella notte, carica della generazione Windrush che porterà nei sobborghi londinesi il calore dei Caraibi e la freddezza della disillusione. Don nascerà l’anno seguente in una Brixton sospesa nel vuoto, dove le case vittoriane si sgretolano lentamente e i sogni si adattano alla sopravvivenza quotidiana.” [Narratore — voce fuori campo]


La Musica come Anima

Brixton, Domeniche degli anni ’60: La Musica come Anima

Il Duke Letts Superstonic si accende con un ronzio elettrico che fa tremare le finestre della casa di St. Ledger. Non è solo un sound system, non come lo si può intendere oggi, è un altare tecnologico dove la Giamaica perduta prende forma attraverso le onde sonore. Il basement si riempie di gente, e Donovan e i suoi fratelli si spostano negli angoli per lasciare spazio agli adulti. Don Letts, ancora bambino con occhi curiosi che assorbono tutto, osserva il padre manovrare i controlli come uno sciamano che evoca spiriti ancestrali.

Brixton negli anni ’60 “Un mosaico di voci che si parlano senza capirsi: l’irlandese del pub all’angolo, il polacco del negozio di alimentari, il “greco” cipriota della tavola calda. Ognuno si aggrappa alla propria identità, alla propria radice, per non dissolversi nel grigio della città. Anche se poi, molti, si “strapperanno la pelle” per sentirsi inglesi. Ma Don vede solo il suo mondo, quello che conosce: ogni domenica, dopo l’ultimo amen che risuona nella chiesa battista, inizia il vero rito di sopravvivenza.” [Narratore — voce fuori campo]

“Una stima abbastanza precisa sul perché la famiglia Letts si trovasse immersa in un melting pot del genere, ci racconta di 160.000 immigrati dalle sole “Indie Occidentali” arrivati come generazione Windrush, dal 1948 alla fine degli anni ’50. Erano in gran parte giamaicani e abitavano nei quartieri di Brixton, di Finsbury Park e Notting Hill. Che era anche la ragione per cui era il “sound system” il ponte culturale che li teneva legati alle proprie radici, così come per i “blues party” alla giamaicana, feste illegali, in osterie, case private o scantinati. Si ballava con alcool, cannabis e curry di capra… praticamente un “rave party”. [Narratore — voce fuori campo]*

Le frequenze basse sono il battito del cuore collettivo di una comunità che cerca di resistere all’assimilazione forzata che promette accettazione ma chiede l’anima in cambio. Gli adulti chiudono gli occhi quando parte il primo riddim e per qualche ora non sono più stranieri in bilico tra due mondi, ma persone complete con radici che affondano in una terra che qui nessuno può ancora non tutti possono capire.

L’Altro Lato dell’Oceano

New York, Inverno 1975: Le Connessioni

New York, inverno 1975. Malcolm McLaren, un ex manager fallito dei New York Dolls, e Vivienne Westwood sono in una Manhattan in bancarotta. È qui che Malcolm spera di trovare una nuova scintilla, la prossima moda che distruggerà la precedente. Si aggirano tra i tavoli appiccicosi del CBGB, il locale di Hilly Kristal dove l’odore di birra rancida e muffa si mescola a quello di una rivoluzione in atto.

Ma a differenza di Andy Warhol, che con la sua Factory aveva dato il via alla rivoluzione artistica degli anni Sessanta, qui al CBGB il futuro è fatto di tre accordi e di una rabbia. Il suono che rifiuta gli assoli masturbatori e i messaggi di pace e amore, portando in superficie solo la disperazione che aspetta una miccia per esplodere.

Richard Hell sale sul palco. Il suo look è “distrutto ma ancora in piedi”, una metafora vivente della gioventù americana post-Vietnam, con le tasche vuote e senza più un sogno. I suoi capelli corti e spettinati, gli occhi cerchiati di nero, la pelle pallida che sembra non aver mai visto il sole: è l’antitesi dell’hippie. Indossa jeans tenuti insieme da spille da balia e una maglietta con scritto “Please Kill Me“.

Vivienne, la sarta geniale e l’allieva di Malcom, osserva ogni dettaglio con l’acuità di un predatore. Le sue dita corrono sul taccuino dove schizza rapidamente la geometria della distruzione. Non è solo vestiario, è un manifesto che mescola il fetish con il nichilismo e con l’idea della provocazione. Si avvicina a Malcolm e sussurra: “Questo lo portiamo a Londra”.

McLaren, ha fallito con i New York Dolls ma pieno di nuove teorie, sa che Londra è pronta per la sua dose di nichilismo americano, ma servita con l’accento cockney e la rabbia della classe operaia britannica. Quello che non sa è che dall’altra parte dell’oceano, in un basement di Brixton, Don Letts sta preparando involontariamente l’antidoto perfetto a tutta quella negatività”. [Narratore — voce fuori campo]

ACME, L’Incontro a King’s Road

Londra, King’s Road, 1976: L’Incontro

A Londra, King’s Road è un’arteria di ribellione. Nei negozi come ACME Attractions, si respira un’aria di rivoluzione. La sua vicinanza al negozio di Malcolm McLaren e Vivienne Westwood crea un’atmosfera di competizione e fermento, dove idee e stili si scontrano e si influenzano a vicenda.

Al centro di questa scena c’è Don Letts, un giovane con uno stile unico che riflette la sua identità di “nero britannico” cresciuto a Brixton. Dalle casse del negozio esce dub reggae tutto il giorno, un suono che per lui è parte della quotidianità e per la nascente scena punk è un’influenza sempre più presente.

È qui che si incrociano le strade dei futuri protagonisti del punk: Paul Simonon e Joe Strummer dei Clash, Johnny Lydon dei Pistols, o0 personaggi come Chrissie Hynde, che ancora non aveva formato i Pretenders.

Simonon e Strummer entrano spesso, attirati da una musica che sentono familiare. Per Paul, cresciuto tra Brixton e Notting Hill, il reggae non è esotico, ma parte del paesaggio sonoro della sua adolescenza. Per Joe, quella musica parla la stessa lingua di rabbia e resistenza che sente ribollire dentro.

“Il filo si fa più stretto nell’estate del 1976. Le strade di Notting Hill si infiammano. Le provocazioni della polizia, il degrado sociale e la rabbia della comunità giamaicana esplodono in scontri violenti durante il Carnevale. Joe Strummer e Paul Simonon, testimoni della brutalità della polizia, si sentono ispirati e sfidati da quella rivolta. Joe Strummer, colpito dal coraggio di quella resistenza, si chiede perché i ragazzi bianchi non facciano lo stesso per i loro diritti. Da qui, nascerà l’inno “White Riot”.” [Narratore — voce fuori campo]

E in mezzo a quegli scontri, c’è un’altra figura chiave: Don Letts. La sua presenza non è solo quella di un DJ che mixa musica, ma quella di un fotografo e testimone. Un’immagine, poi iconica, lo ritrae che si allontana dalla scena, con la polizia in tenuta antisommossa alle sue spalle. Non si tratta di una licenza poetica, ma di un’istantanea perfetta di quel momento, che cattura la tensione tra la rabbia, la repressione e l’irrefrenabile desiderio di cambiare le cose.

L’aria di King’s Road sa di ribellione e patchouli, ma sotto c’è qualcosa di più profondo: la sensazione che la storia stia per cambiare direzione.

La Risonanza al Roxy

Roxy Club, 1° gennaio 1977: La Serata di Gala

“Il Roxy Club è un bunker sotterraneo dove il futuro si sta scrivendo a suon di accordi distorti e sudore. È la prima notte dell’anno nuovo, e l’aria è densa di aspettative e alcol. Una serata di gala per il locale… a modo suo.” [Narratore — voce fuori campo]

I Clash hanno appena finito di suonare, lasciando sul palco l’eco della loro furia controllata. Paul Simonon ripone il basso con le mani che tremano ancora di adrenalina, mentre Joe Strummer si asciuga il sudore con una maglietta già inzuppata.

Il silenzio che segue è gravido di possibilità. È il momento in cui Don Letts prende il controllo della situazione. Si avvicina ai giradischi con la sicurezza di uno sciamano che sta per officiare un rito. La prima nota di King Tubby che esce dalle casse è come un respiro profondo dopo una corsa disperata.

Il dub reggae non è musica da ballare per i punk, è musica da sentire. Le frequenze basse massaggiano i corpi stanchi, mentre gli effetti di riverbero creano spazi sonori infiniti dove la mente può vagare. Ma qualcosa di magico accade: Joe Strummer è il primo a muoversi. Non sta ballando nel senso tradizionale, sta seguendo il ritmo con tutto il corpo, come se stesse conversando con la musica.

“Al piano di sopra, nei bagni, i ragazzi si fanno di speed al suono del punk ma quando il ritmo cambia nelle mani di Don Letts, l’aria si riempie di ganja.” [Narratore — voce fuori campo]

Gli altri lo seguono uno per uno. Paul Simonon riconosce nelle melodie Augustus Pablo la stessa urgenza che cerca di esprimere con il suo basso. Mick Jones chiude gli occhi e si lascia trasportare dalle melodiche distorte, trovando nel dub quella dimensione sperimentale che il punk da solo non può offrire.

Sul pavimento appiccicoso del Roxy, il punk e il reggae si fondono. I due suoni, che per anni hanno viaggiato su percorsi diversi, si riconoscono. Parlano la stessa lingua di rabbia e resistenza, solo con accenti diversi. Don dalla consolle osserva questa alchimia sociale con gli occhi di chi sa di stare assistendo a qualcosa di irripetibile.

È qui, in questa notte di gennaio gelida, che nasce una nuova grammatica musicale. Non è appropriazione culturale, è conversazione tra oppressi. I punk bianchi della working class e i rude boy giamaicani si riconoscono come fratelli separati dall’oceano ma uniti dalla stessa rabbia contro un sistema che li vuole invisibili.

L’Epilogo che non Finisce Mai

“…La storia non si ferma, si espande oltre i confini del Roxy. La scintilla accesa quella sera illumina altri angoli del mondo. La ribellione è contagiosa, e la musica, come un fiume sotterraneo, continua a scorrere e a unire culture apparentemente distanti” [Narratore — voce fuori campo]

L’incontro con il Re

È in quel periodo di fermento che Don Letts si imbatte in Bob Marley. Don, con i suoi pantaloni bondage e le catene, non passa inosservato. Marley lo vede e lo saluta con una frase che è allo stesso tempo uno scherzo e una provocazione: “Don Letts, sembri uno di quei punk rockers schifosi“¹. Don, senza scomporsi, gli risponde: “Questi sono i miei amici. Vieni al Roxy, vedrai“¹.

Marley ride e, sebbene non andrà mai al Roxy, due settimane dopo scrive “Punky Reggae Party” e il cerchio inizia a chiudersi. Ma la storia non ha mai fine, si trasforma soltanto. L’aneddoto della sua conversazione con Don Letts è come un ponte che unisce due mondi apparentemente opposti, mostrando che la ribellione ha una sola lingua, seppur con diversi accenti.

New York, 1981 — Il Mondo, Sempre.

Anni dopo, Don Letts vola a New York e si trova faccia a faccia con Kool Herc e Afrika Bambaataa. Don non “riconosce” le radici giamaicane nell’hip-hop, perché le ha sempre avute dentro di sé. È un ricongiungimento culturale, la prova che le due scene sono due facce della stessa medaglia, nate dallo stesso seme di resistenza e creatività.

La musica che esce dai loro sound system è la stessa che lo ha cresciuto a Brixton, ma rielaborata in un nuovo contesto. La stessa cultura, la stessa tecnologia, la stessa necessità di creare spazi di libertà nel cemento dell’oppressione urbana. Due facce della stessa medaglia, nate dallo stesso seme giamaicano, cresciute in terreni diversi ma con la stessa fame di espressione.

La spirale culturale continua a espandersi. Il punk contamina il reggae, il reggae umanizza il punk, entrambi fecondano l’hip-hop, che a sua volta tornerà a contaminare tutto il resto. La storia è un flusso continuo di influenze che si moltiplicano ogni volta che due culture si incontrano senza paura.


Don Letts, il ragazzo di Brixton che metteva dub nel negozio di King’s Road, è diventato il custode involontario (?) di una memoria che non appartiene solo al passato. Ogni volta che qualcuno mette su un disco dei Clash, ogni volta che un DJ mescola generi diversi, ogni volta che la musica costruisce ponti invece di muri, i frammenti di questa storia si rimettono in movimento. La rivolta non è mai finita. Ha solo cambiato forma, si è adattata, ha imparato nuove lingue. E da qualche parte, in qualche basement di qualche città del mondo, c’è un altro Don Letts che sta preparando involontariamente la prossima rivoluzione sonora.”

“La musica non è solo suono. È anche e soprattutto memoria, identità, resistenza… rivolta.”


Note: ¹ Don Letts, Punk & Dread. Quando la cultura giamaicana incontrò il punk, ShaKe, 2015


Fonti Consultate:

  • Savage, Jon. England’s Dreaming: Anarchy, Sex Pistols, Punk Rock and Beyond. St. Martin’s Press, 1991. (La biografia definitiva del punk britannico, dal contesto politico alle band).
  • Hebdige, Dick. Subculture: The Meaning of Style. Routledge, 1979
  • McNeil, Legs e McCain, Gillian. Please Kill Me: The Uncensored Oral History of Punk. Grove Press, 1996. (Una raccolta di testimonianze dirette dei protagonisti della scena punk newyorkese e della sua interazione con Londra).
  • Film documentario: The Punk Rock Movie, regia di Don Letts, 1978. (Documentario girato da Don Letts con la sua cinepresa Super 8, una testimonianza visiva diretta dell’epoca).
  • Film documentario: The Filth and the Fury, regia di Julien Temple, 2000. (Un documentario sui Sex Pistols che racconta la storia dal punto di vista dei membri della band).
  • Film: 24 Hour Party People, regia di Michael Winterbottom, 2002. (Un film che, seppur con licenze poetiche, racconta in modo efficace il ruolo di Tony Wilson e la nascita della scena di Manchester, a partire dal concerto dei Sex Pistols del 1976).
  • Serie TV: Small Axe, regia di Steve McQueen, 2020. (Una serie antologica che esplora le vite della comunità caraibica a Londra tra gli anni ’60 e ’80, offrendo un contesto storico e sociale fondamentale per comprendere le origini della rabbia e della resistenza di cui parli nel tuo racconto).