LA VERA STORIA DELLA PICCOLA C.A.T.I.
O del perché è scoppiata la guerra delle radio
Le ultime settimane sono state ricche di colpi di scena nel mondo della Radio italiana e più in generale in ambiente radiotelevisivo tradizionale. Considerato che il tempo per assistere all’evoluzione di quel linguaggio, dei modelli e dei formati, si può misurare in ere geologiche, tutto questo “fermento” mi ha sorpreso e stimolato a nuove/vecchie considerazioni.
È davvero complicato mettere insieme tutti gli incastri che sono nati da questi movimenti; cercare di scrivere questo articolo sarà quindi difficile ma ne vale la pena.
PROVIAMOCI
Da ormai troppi anni si parla dell’inadeguatezza del sistema C.A.T.I. (d’ora in poi CATI) utilizzato per l’indagine degli ascolti della Radio privata italiana. Sottolineo privata in contrapposizione dalla dizione di “libera”, come cantata da Eugenio Finardi nel suo storico successo “La Radio”, perché di quella libertà, nata dalla voglia di spezzare un monopolio che probabilmente si riteneva essere in primo luogo culturale, è rimasto pochissimo, praticamente nulla. Del resto siamo negli anni ’70, il nostro paese riesce ancora ad esprimere movimenti per il cambiamento della società che si spegneranno sotto la repressione dei governi alla fine del decennio che si affaccia agli anni ’80, “pronto” per l’inizio della barbarie.
E lo dico anche in termini numerici, visto che l’Italia detiene il primato europeo di “densità radiofonica” in relazione alla popolazione che, oltretutto, diminuisce e cambia.
Nel 1990 avevano presentato domanda circa 5000 emittenti, oggi ne sono rimaste un migliaio, troppe comunque per la capacità economica che il Paese può offrire, ovvero per l’incapacità della radiofonia italiana ad aprirsi a nuovi mercati che pure ci sarebbero.
Come le Banche
Come le banche negli anni ’90 compravano ogni locale possibile per aprire una filiale, salvo poi licenziare migliaia di impiegati con l’affermarsi dell’home banking, così le radio pensano di fare quella stessa politica, come degli ipermercati, dei centri commerciali: accendere, accendere e accendere, ponti, impianti d’ogni tipo. Occupare nuove piattaforme, così come canali del DTT anche se non si ha nulla da dire o anche solo qualcosa di diverso. Frammentarsi in mille canali diversi ma tutti uguali, pensando che con il proprio nuovo ipermercato dell’intrattenimento, si possa crescere negli ascolti e negli incassi. Tutto questo quando la Radio, da anni, perde ascolti.
Al T.E.R., il Tavolo delle Emittenti Radiofoniche, sono iscritte poco più di 250 radio (267 a occhio e croce) delle 1204 operanti, il che significa che, se queste fossero delle elezioni politiche, al “voto” si presenterebbe circa il 30% degli aventi diritto. Un po’ poco, considerato anche che i programmi elettorali della Radio italiana, sono tutti uguali. Per dirla alla Guccini: tutti “avanti al centro contro gli opposti estremismi”.
ALTRA RADIO
Le 937 radio non iscritte e quindi escluse dalla indagine, in un modo o nell’altro sono comunque censite, andando sotto il nome di “Altra Radio” e “Non Ricorda Quale Radio” che messe insieme, fanno la 7ima radio in Italia ed è, considerandole unica, tra le pochissime che ha ripreso un trend positivo dopo lo stop del Covid del 2020.
A differenzia dalle commerciali non pubblicane quei bellissimi Comunicati Stampa pieni di grande allegria e baldoria per i risultati ottenuti e dove, non si sa come, hanno tutte vinto, tutte sono la “Numero Uno”.
Cos’è il CATI
Il CATI è l’acronimo di Computer Assisted Telephone Interviewing, significa che l’indagine telefonica viene svolta da addetti che ti chiamano al telefono e ti sottopongono un questionario con domande lette dallo schermo di un computer, dove sono proposte e registrate in modo automatico. Dal punto di vista tecnico e per il ruolo di intermediario dell’intervistatore, il metodo CATI garantisce il massimo della precisione, perché le risposte sono registrate direttamente nel Database con tutta una serie di filtri per “correggere” eventuali risposte incoerenti.
Un centralino, quindi, chiama l’intervistato e se ottiene risposta, lo passa all’intervistatore per la raccolta dei dati. È il modo utilizzato da quei Call Center che chiamandoti agli orari più infami, ti propongono cose di qui non ti frega un c@##+ e che ti umiliano perché sei così incapace da non riconoscere il grande affare che hai di fronte. Seguono bestemmie e inviti in accoglienti località turistiche.
Nel gergo del Marketing, l’approccio è detto di “outbounding” ma chiamarlo “interruttivo” rende meglio l’idea. Se fosse sesso, quello squillo ti provocherebbe un coito interrotto, perché tale è.
IL PARADOSSO DEL GATTO IMBURRATO
Scandagliando tra i derivati delle Leggi di Murphy ci si può imbattere nel Paradosso del Gatto imburrato, dove in pratica si dice che:
se è vero che un gatto, lasciato cadere, atterra sempre sulle zampe, mentre un toast imburrato, scivolandoti dalle mani, cade sul pavimento dalla parte del burro, allora legando un toast imburrato sulla schiena di un gatto e lasciato cadere verso il pavimento, si sarà dimostrata la Teoria del Moto Perpetuo. Gatto e Toast creeranno un vortice a mezz’aria, annullandosi l’uno con l’altro.
Ecco, il Paradosso delle radio che contestano il metodo CATI sta proprio qui: dicono che in era Internet, chiamare al telefono le persone è roba da terzo mondo. Chi usa più infatti, il telefono (fisso) oggigiorno?
Ogni volta che leggo o sento questa giustificazione contro il CATI sono colto da sincera ilarità, per una serie di motivi che mettono in mostra quanto siamo indietro e provinciali nel mondo della comunicazione.
LA SINDROME DI WHATSAPP
La prima ad aver fatto del telefono il suo totem di sopravvivenza alla tecnologia (fisso tradizionale o mobile da smartphone, non ha importanza) è stata proprio quella Radio tradizionale che, come in una forma di disturbo dissociativo di identità, oggi si schifa dei metodi del T.E.R, che cioè finanzia essa stessa con la sua quota per le indagini!!! ma è pronta ad invitarti a dare il tuo parere sul tema del giorno, tema di cui non ti frega nulla, con un vocale o un messaggio WhatsApp.
Non solo, fisso o mobile poco importa, perché il campione dell’indagine tiene conto delle mutate abitudini dell’italiano (molto) medio, tanto che moltissime chiamate dirette a Medioman/Mediowoman, arrivano da numeri sconosciuti sui loro MedioSmartphone. Ma su questo ultimo aspetto tornerò tra breve, per altre succosissime contraddizioni tragicomiche.
Vogliamo poi parlare del metodo interruttivo per eccellenza della Radio tradizionale, ancora un po’ e neppure la TV lo proporrà più, ovvero quel coito interrotto dai cluster pubblicitari che ogni 15 minuti ci fanno stringere le chiappe per trattenere l’orgasmo? Ne vogliamo parlare? No, meglio di no. Per decenza, se non altro.
IL DIFFICILE RAPPORTO DELLA RADIO CON LE INDAGINI D’ASCOLTO
L’Outbounding è ancora il metodo principe della Radio italiana, vuoi perché di comunicazione non ci capisce una mazza, anche se si atteggia a guru della stessa, vuoi perché capiscono ancora meno di “innovazioni dirompenti” su cui investire per evolversi. Certo, per investire bisognerebbe cercarle o quantomeno conoscerle. Alla Battisti: “guidare a fari spenti nella notte per vedere se poi è tanto difficile…” fallire.
Sui numeri sconosciuti che appaiono ogni giorno sui nostri smartphone poi, il massimo è stato raggiunto da molte radio con degli spot (interruttivi, of course) che ci invitano a rispondere “perché potrebbero essere le indagini radiofoniche” (ok, ma la vastità del c…. me ne frega, no?) e naturalmente a dire all’intervistatore (che legge le domande da un questionario prestabilito) che l’unica radio che ascolti è quella che ti propone lo spot di cui sopra. Fantastico, vero?
Ciò che rende ancor più tragica questa trovata geniale, è che il CATI prevede, oltre all’outbounding, cioè intervistatore chiama intervistato, che si possa procedere anche con la direzione opposta, ovvero dell’INbounding. Quindi, l’intervistato chiama chi lo vuole intervistare.
Già solo con il prefisso “IN”, la Radio ci potrebbe costruire su un miliardo di bei racconti da regalare ai propri ascoltatori, sapendo soprattutto che oggi il controllo del marketing non è più nelle sue mani ma è del “singolo pubblico”, ognuno con una sua percezione del messaggio, ognuno capace ad ascoltare/sentire ciò che singolarmente è disposto a credere. IN è fico, OUT è tamarro.
Il T.E.R. che poi sono le radio stesse e loro rappresentanti di categoria, ha quindi sbagliato a non tenere in considerazione questo dettaglio di ENORME, VITALE importanza.
Per prima si doveva spendere alla promozione dell’indagine attraverso una corretta comunicazione.
LE INDAGINI? CHI SE NE FREGA!
Se chiedi alla Radio a cosa servono le indagini d’ascolto con ogni probabilità ti risponderà che sono al solo “scopo commerciale“, vendere pubblicità. Se obbietti che possono essere anche uno strumento di crescita ed evoluzione verso i gusti degli ascoltatori, ti guarderà male e ti risponderà: “Le Indagini? Chi se ne frega!“
Che è quello che implicitamente è stato detto con quegli inviti su spot interruttivo.
Al contrario, si sarebbe potuto concordare con gli Istituti incaricati alle indagini, un certo numero di centralini con numeri noti, da pubblicare e lì costruire degli spot/promo non della Radio ma dell’Indagine, anche se credo che gli Istituti di Ricerca abbiano l’obbligo di iscriversi presso il Garante della Privacy per adeguarsi alle norme in merito. Solo che alla Radio non interessa, o non arriva a pensieri alternativi troppo poco nazionalpopolari.
Non sono un tecnico ma vuoi che non ci sia un metodo per far apparire sul mio smartphone, non un numero sconosciuto ma un identificativo chiaro, tipo “INDAGINE RADIO T.E.R.”?
E si fa un bel promo con i numeri di telefono dei Centralini TER (o ID), magari ognuno solo con un gruppo di numeri relativi alla propria area/provincia dove, in buona sostanza, si potrebbe dire: “se ti chiama uno di questi numeri, puoi rispondere, se vuoi! Non è un call center commerciale ma l’istituto di ricerca delle indagini radiofoniche T.E.R., l’indagine d’ascolto della tua Radio.
Se non puoi rispondere alla chiamata, non ti preoccupare, puoi richiamarlo tu stesso e partecipare al questionario che può far crescere gli ascolti della tua radio preferita. Grazie, la Radio ti vuole bene.”
Si sarebbe potuta seguire una traccia del genere, corretta e pulita da ripetizioni inutili ed errori e forse il polverone che si è alzato per, a mio parere, le giustissime proteste e diffide di chi non ha voluto perseguire questa linea del tutti contro tutti e tutti contro i proprio ascoltatori non ci sarebbe stato. Perché il danno più grave è proprio quello “comunicativo”, quello che si sono auto-inflitte le radio stesse in un epoca dove il mezzo invecchiando e non rinnovandosi, sta perdendo appeal e ascolti.
Sempre che quelle “giustissime” proteste o esposti non nascondano riposizionamenti di potere all’interno del Tavolo stesso degli Editori. A pensar male…
QUAL È L’ETÀ MEDIA DI CHI ASCOLTA LA RADIO?
La media d’età di chi ascolta oggi la Radio è di 48 anni!!!
C’è chi vorrebbe rottamare il CATI e passare a tutt’altro ma senza preoccuparsi di tutti gli aspetti tecnico statistici necessari per un’indagine vera. Chi addirittura vorrebbe prendere i dati dei server IP delle radio stesse. Vabbè.
Chi più ragionevolmente vorrebbe affiancarle i Panel, i Diari mensili o il Meter. Chi fare entrare come più volte richiesto dall’AGCOM, UPA e UNA per utenti e agenzie pubblicitarie (beh, in questo momento sembrano avere problemi ben più grossi, “comunicativi” anche loro) trasformando così il T.E.R. in una società indipendente, una JIC, come accade in gran parte del mondo. E chi tutte queste cose insieme.
Chi dice che il T.E.R. con il CATI registra la notorietà del marchio, dice una cosa giusta ma banale.
Insomma, lo sa anche mia nonna che è così ma la colpa non è né del T.E.R. e neppure del CATI ma della Radio stessa che in Italia funziona da ormai più di trent’anni per propria imitazione, senza produrre nulla di interessante per chi l’ascolta.
Con l’arrivo dello streaming la radio ha scoperto tutte le sue fragilità strutturali, ne ha accelerato il processo di invecchiamento, incapace di trovare antidoti nel nuovo mondo che le si stava aprendo intorno. Ha abbandonato quei pochi residui di “divulgazione musicale”, imbarcando uno dopo l’altro, tutta una serie di personaggi televisivi che di musica non ne sanno nulla. Ha scelto di affidarsi a programmatori musicali in copia carbone con le case discografiche che da 6/7 che erano, oggi si sono ridotte a 3.
Oggi punta tutto sulla conduzione dei personaggi che ha ingaggiato, conta sul loro traino per restare a galla non avendo più neppure la RAI che la contrasta in “pluralità”, completamente assorbita dai modelli della Radio Privata, e sconfitta negli ascolti.
Qui, non si registra neppure un tardivo ravvedimento e cambio di rotta. No, la RAI si butta sempre più dentro modelli decotti e che comunque non le appartengono, rottamando la storica, enorme posizione che si era creata, certo anche grazie al monopolio di cui ha goduto negli anni precedenti la Radio Libera.
Che il CATI si debba aggiornare non c’è dubbio ma che senza un cambio di passo della Radio, si possa davvero cambiare pagina, è sicuro, non si potrà fare.
La Radio ha bisogno di un “ritorno al futuro” per cancellare gli errori commessi e vedere come cambia il presente, potendo utilizzare ancora il CATI rinnovato anch’esso.