Radio I generi Musicali Non Esistono
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Cosa accadrà nelle segrete stanze dei programmatori musicali che ancora applicano regole antichissime?

Ieri leggevo un lunghissimo ma interessante articolo su Rolling Stones a firma Sandro Giorello, una intervista più esattamente, con dentro molti spunti interessanti che voglio condividere con te.

Un’intervista a Michele Canova, produttore italiano che l’articolista definisce come il “Re Mida del Pop“,  descrizione che nella logica dell’articolo è anche corretta ma che andrebbe poi approfondita; potremmo infatti chiederci cosa si intende per “Re Mida” perché se è di capacità a tirare fuori e valorizzare le qualità espressive dell’artista prodotto… beh, trovo molto più calzante l’opinione di Michele Monina, apparsa qualche mese fa su Linkiesta in uno dei suoi soliti articoli al vetriolo. Ma non è di questo che ti volevo parlare.

Il giornalista di Rolling Stones ci racconta come l’intervista sia nata per caso, partita dalla curiosità di conoscere il parere del produttore  sul disco country di Miley Cyrus si sia poi allargata alla politica, alle piattaforme di streaming, alle major discografiche con tutta una serie di considerazioni e previsioni sui generi musicali che è poi il lato per cui questo articolo mi è davvero piaciuto.

Quello che più salta agli occhi e non l’unico addetto ai lavori che esprime questo concetto, è che i generi musicali nella loro classica definizione non esistono praticamente più, da qui a pochi anni probabilmente la “Babele” sarà così forte che non si potranno più tracciare confini precisi: sarà tutto un ibrido, un  meltin pot di suoni dentro una cultura musicale di carattere globale. In parole povere, un vero casino e questa cosa mi piace perché immagino già il terrore dei programmatori musicali delle radio nostrane che non sapranno più come “ragionare” le loro playlist fatte di: “un classico ma solo dopo due italiani, poche novità e solo quando lo dice il radio-date e mi raccomando non più di 20 secondi di parlato tra un grande successo e l’altro. Solo grandi successi“. Mi rendo conto che fare il programmatore musicale della radio in FM sia un mestiere avventuroso, molto pericoloso anche, dove però gli unici a morire di noia siamo noi che ancora accendiamo un transistor ogni tanto. Brutte abitudini che per fortuna stiamo perdendo.

Michele Canova comunque, come molto più modestamente vado dicendo da sempre anch’io – non che faccia fatica eh, son fatto così e ho anche sempre pensato di essere fatto male – scommette in un ritorno del “Madchester” tra gli altri, stile che come sai qui amiamo molto ma più in generale, ci piacciono quei suoni che nascono dal disagio dei tempi e che non si mettono problemi a mischiarsi con tutto quello parli di cose vere, che ci interessano e ci coinvolgono giorno per giorno. Citando il mitico ‘The Commitments‘, splendido film di Alan Parker: “niente canzoncine smielate tipo tienimi stretta a te tutta la notte, capito?“; perché questo processo di ibridazione della musica è in crescita da molto tempo, tanto da interessare oggi anche il cosiddetto mainstream, il pop e quindi anche quelle persone che magari fino a ieri si erano sempre e solo occupate di Jovanotti o Laura Pausini, ben sapendo comunque che mai vedremo la cantante romagnola duettare con Kendrick Lamar o con Eminem, vuoi solo anche perché di Lamar o Eminem, in Italia proprio non ce ne sono purtroppo e sì, certamente Laura Pausini non è Beyoncé.

Chiacchierando con amici ci siamo trovati d’accordo su un fatto: che l’Italia vive come in una bolla separata dal resto del mondo e dalla realtà. Sembra quasi che la rete e un po’ tutto quello che è nato dalla “rivoluzione digitale” venga utilizzato come se fosse un attrezzo senza un suo linguaggio e che bastino metriche quantitative, tanti click molto onore per dire “io sono io e voi non siete un ca**o!“. Forzando il concetto è come se alla radio che è ormai tutta digitale,  in un programma di “vinili” andassi a cercare il brano pieno di graffi che capisci bene è una vera stronzata se il mio intento era quello di farti sentire della musica e non celebrare la nostalgia per un pezzo di plastica. Da questo punto di vista anche la musica che viene programmata dalle radio tradizionali – fatto salvo qualche che caso che per fortuna esiste – è sempre un passo, se non due, dietro al resto del mondo. Quando quindi in USA o in Inghilterra sale alta la voce degli artisti contro le politiche dei Trump o anche solo nascono interi movimenti musicali che rompono ogni confine di genere e stile incontrando i favori dei giovani (che sono anche gli unici che contano davvero), in Italia al massimo possiamo sperare in ‘Pachidermi e Pappagalli’ perché in fondo questo siamo se anche prima di scendere in campo in una partita che vale l’accesso al Mondiale di calcio, l’unica cosa a cui pensiamo è al solito “stellone italiano” che tutto risolve. Beh, ragazzi vi è andata male e molto.