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O del perché in Italia non c’è gusto ad essere intelligenti

Una nuova “lettera” di Grazia Letizia Veronese Battisti ci riporta ad un argomento e a un “paroliere” che non abbiamo mai amato.

La lettera e il post

Eccomi qui.

Sono passati 25 anni da quando Lucio Battisti non è più fra noi.

Noto, caro Giulio, che non perdi occasione pubblica per spargere il tuo miele su Lucio, dichiarando di averlo amato tanto: io credo che tu abbia ragioni per amarlo molto di più adesso, visto che ancora oggi, dopo un quarto di secolo dalla sua morte, non ti riesce di separare il suo nome dal tuo.

Noto anche che in queste occasioni non fai mai alcun cenno alle innumerevoli cause che hai intentato dopo la morte di Lucio: tre gradi di giudizio per una questione di confini, due gradi di giudizio per un risarcimento danni, per “perdita di chance”: una causa che, visto l’esito, ha costretto in liquidazione le Edizioni Acqua Azzurra.

Ed ecco ora, dopo sette anni dalla sentenza del 2016, una nuova identica causa, questa appena nata, ma ancora per “perdita di chance”.

Ti ricordo (fra parentesi) che sono ancora in attesa di una risposta alla lettera che ti ho scritto il 10 giugno del 2020, quando eri Presidente effettivo della Siae. Sono passati tre anni e hai ritenuto di ignorare quella lettera ma, nel frattempo, hai continuato a produrre programmi che hanno al centro Lucio Battisti (che, consentimi il termine, è diventato il tuo passepartout).

Infine, per quanto riguarda la salute di Lucio e le cause della sua morte, ti chiedo gentilmente di lasciar perdere le tue infondate supposizioni e ogni altra illazione. Ti chiedo soltanto di rispettare la sua dignità di uomo, dopo avere tanto lusingato la sua figura di artista.

A tal proposito, ti invito a non raccontare più la commovente storia della “lettera consegnata di nascosto a Lucio”, ora da un’infermiera, ora da un medico, ora da un non meglio identificato “professore” … Voglio precisare, una volta per tutte, che mio marito in quei giorni lottava per la sua vita, che nessuno ha mai ricevuto una tua lettera, che Lucio in quegli stessi giorni non è stato mai lasciato solo e che non ha mai pianto, tantomeno ricordando la vostra “amicizia”.

Ti rammento che il vostro “sodalizio artistico” si era interrotto nel lontano 1980.

Sono passati ormai 43 anni, Giulio!

Senza rancore.

Grazia Letizia Veronese Battisti”

Post pubblicato il 27 giugno 2023 sul mio profilo Facebook

Rispondendo ad un invito social dell’ex Senatore Luigi Manconi e fondatore di A Buon Diritto, su un articolo del Canzoniere Italiano pubblicato l’altro ieri su La Stampa, non ho avuto alcun dubbio ad indicare in “Panella/Battisti”, contrapposto al duo “Mogol/Battisti”, quale miglior momento artistico dell’artista di Poggio Bustone.

Nessun dubbio.

E quello che forse ti potrebbe sembrare come “ecco il solito sborone con le pezze al culo sempre a tifare contro“, nasconde invece molto, se non tutto, della storia culturale, sociale e finanche politica del nostro Paese.

Perché queste non sono solo canzonette, ed è un’altra delle certezze granitiche su cui non può esistere discussione.

Sono solo canzonette

Insomma, chi dice che “l’Intrattenimento” è tale perché deve essere leggero e portatore di gioia, mente non sapendo di mentire perché ormai troppo permeato da questo tipo di cultura.
Il suo intento infatti, è sempre stato un altro. I suoi effetti sono tutti intorno e dentro di noi.
A mia opinione personale, Mogol è stato il Walt Disney de noantri e non lo dico perché faceva dei bei fumetti, no ecco.
Con la sua scuola poi, si è guadagnato una sorta di immortalità del suo modo di scrivere testi per “canzonette”.
“Ragazzo Solo, Ragazza Sola” la versione italiana di “Space Oddity” di David Bowie, tradotta (si fa per dire) proprio da Mogol, è quanto di più brutto e artisticamente disonesto, si possa immaginare. Ben peggio di certa musica italiana d’oggi.
Molte delle canzoni beat italiane altro non erano che successi stranieri ma “tradotti” dal cuore di panna, cuore di mamma dei parolieri nostrani.

La Linea Verde e l’inizio della barbarie

Per spiegare meglio il ruolo che ebbe sulla nostra musica e non solo, Mogol e un manipolo di giornalisti del settore, bisogna fare un passo indietro di molti decenni e tornare a quegli anni ‘60, poco prima del ‘68 studentesco, del Maggio francese e delle proteste contro la guerra in Vietnam.
È l’epoca Beat, quando ancora l’Italia era un paese aperto al mondo, prendeva e dava all’evoluzione sociale in atto in tutto il mondo.

Combatteva per un mondo più libero e giusto, quel mondo che si stava cristallizzando nello scontro tra USA e URSS, oggi più che mai forte.
Alla metà del 1960 nasce la cosiddetta “Linea Verde” battezzata dal giornalista Sergio Modugno e da Giulio Rapetti Mogol che cominciò a depotenziare il senso del beat nei testi di “È la pioggia che va” dei Rokes e più ancora ne “La Rivoluzione” di Gianni Pettenati e Gene Pitney:

È finita la rivoluzione
Per sempre è finita e mai più si farà
È finita la rivoluzione
L’amore alla fine ha vinto e vincerà

Alla operazione “nazipop” della “Linea Verdesi opposero alcuni artisti italiani guidati da Luigi Tenco che all’articolo di Sergio Modugno pubblicato da “BIG” il 15 ottobre 1966, risposero con questa lettera aperta.

“Caro Direttore,
scusaci se ti parliamo senza peli sulla lingua, ma tutti noi che crediamo nel beat per profonda convinzione etica e culturale e peli sulla lingua non possiamo averne. Le riserve mentali preferiamo, dunque, lasciarle agli altri, ai rivoluzionari che sventolano le bandiere quando ormai la rivoluzione e già stata fatta e a tutti coloro pronti ad approfittare di una situazione, senza per altro essere disposti a pagare di persona.
Il discorso come avrai capito, investe quella “linea verde” cui “Big” ha dedicato un ampio articolo, presentandola, sia pure con vaghissime riserve, alla stregua di un messianico avvenimento entro il quale dovrebbero inquadrarsi tutti coloro che, fin da oggi, in Italia si sono occupati ed hanno operato nel campo beat, da un punto di vista musicale e no.
Tu sai bene di cosa si tratta. Secondo quanto ha scritto Sergio Modugno, ci si sarebbe accorti che, in sostanza, la forza protestatoria del beat era superata e sarebbe quindi giunto il momento di indirizzarsi verso temi e motivi aperti alla speranza.
Il discorso, per la verità, è confuso e dogmatico. Nell’articolo in questione non vengono, infatti, spiegati i fattori storici o economici che determinerebbero la necessità di una simile svolta a destra.
Ora, per carità, non ci accusare di marxismo. Sarebbe un gioco troppo facile. Fra di noi c’è chi è marxista e chi non lo è. Ma tutti ci troviamo d’accordo su un minimo denominatore di buonsenso. E il buonsenso ci dice che i motivi della protesta dei giovani non sono affatto esauriti. Anzi, basta guardarsi attorno, sia in Italia che nel mondo per renderci conto che tutti quei presupposti che sono alla base della rivolta dei giovani sono oggi validi più che mai, la libertà dei giovani in ogni parte del mondo corre serio pericolo da parte di quelle forze reazionarie che, ben lungi dall’essere debellate, hanno invece in mano nuove e temibili armi per cercare di far tenere i cervelli nell’ovatta e le bocche chiuse.
Anche questo discorso, bada bene, è praticamente obiettivo e non investe le sfere della politica, Perché le persecuzioni razziali non sono e non possono essere viste solo dal punto di vista politico, perché i bombardamenti indiscriminati in Vietnam sono quelli che sono, perché la censura più assurda esiste ancora e ne abbiamo avuto triste prova anche in occasione del recente festival delle Rose. E perché, per passare dall’altra parte della barricata, i liberi intellettuali nell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche finiscono in Siberia, mentre il muro di Berlino è ancora in piedi e in Cina un certo tipo di mentalità nazista torna di moda grazie alla cosiddetta Rivoluzione culturale.
Questo per ciò che riguarda il mondo intero. Quanto all’Italia, da Agrigento a Longarone è tutto un fiorire di scandali, mentre le persecuzioni di polizia, a Genova e Roma, contro i ragazzi colpevoli solo di portare i capelli lunghi assumono forme sempre più preoccupanti.
L’elenco potrebbe continuare, ma mi sembra inutile. Sono fatti, fatti precisi che tutti conoscono benissimo. Così stando le cose comunque ci si può spiegare dove sono gli estremi per il superamento di una protesta che invece appare sempre di più indispensabile? E dove i presupposti della speranza?
A questo punto poi un’altra domanda sorge legittima: perché dunque la linea verde? A cosa serve? E soprattutto a chi serve?
La risposta ci sembra abbastanza semplice: serve a chi vuole intorpidire le acque, o per cause bassamente pubblicitarie e comunque speculative. Chi ha orecchie per intendere, intenda. Le ragioni della nostra perplessità ci paiono a ogni modo molto giustificate.
Per questo le linee verdi, oltre a non interessarci, ci preoccupano in quel loro esplicito tentativo di porre freni e intorbidare le acque con fini che, quanto meno, appaiono estremamente poco chiari e proprio per questa estrema nebulosità possono confondere e fuorviare le idee dei più giovani.
I quali giovani dunque è bene che sappiano come, in chiara antitesi alla linea verde, ci troviamo ben saldamente ancorati alla linea del blues, di Dylan, di Kerouac e di tutti coloro che ancora credono, in termini musicali e no, nella insopprimibile necessità della pace e della libertà. Noi nella pace e nella libertà non vogliamo “sperare”, ma preferiamo lottare, per ora su una trincea fatta di splendide e significative note, per conservarle o conquistarle.
Questo è bene che si sappia, come è bene che i giovani stiano in guardia contro i mistificatori della musica leggera.
Firmato: Luigi Tenco, Sergio Bardotti, Lucio Dalla, Gianfranco Reverberi e Piero Vivarelli.”

Storia di un Cantautore

Il successivo Festival di Sanremo, all’esclusione di “Ciao Amore Ciao” di Tenco e Dalila, in favore de “La rivoluzione” di Pettenati, segna la morte fisica di Tenco con Lucio Dalla tra i primi ad accorrere nella stanza dell’artista e ad avvertire il giornalista che nota tutta una serie di posizioni anomale del corpo di Tenco. Posizioni ed oggetti che cambiano poi, attraverso le testimonianze di altre persone accorse successivamente.
Piero Vivarelli racconta che fu lo stesso Modugno a consegnare alla Polizia i biglietti di Luigi Tenco trovati nella stanza che “misteriosamente” diventano pubblici e trovano morbosa cronaca sulle pagine di molti giornali dell’epoca. Stampa che certo non si fece scrupoli a pubblicarli.

Tenco con una visione del futuro che pochi altri ebbero nel corso della storia culturale e certo non solo quella, del nostro paese, vide in quella operazione commerciale l’inizio del decadimento italiano.
Tentò di opporsi all’avanzata dell’onda verde, insieme ai firmatari della lettera aperta, uscendo sconfitto in quella edizione del Festival. E non tanto per l’esclusione della sua canzone, quanto per esserle stata preferita “la Rivoluzione” di Pettinati: la mistificazione normalizzante della realtà. L’onda nera del pensiero unico.
Ecco, se siete tra quelli che, pur generalizzando, ritengono che la “musica italiana” faccia c… schifo e non sapete spiegarvi perché, provate a rileggere la storia con le parole di Tenco, Dalla, Reverberi, Vivarelli, Bardotti